Feriae Augusti: sappiamo ancora prenderci una pausa?

Quattordicesimo contributo della rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP di Elisa Mulone Psicologa e psicoterapeuta Presidente Nazionale PLP     È tempo di ferie, vacanze, pausa dal lavoro, dalla routine quotidiana. Agosto è tempo di feriae Augusti, letteralmente “ferie in onore di Augusto”. Vennero istituite nel 18 a.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto e si festeggiavano
Quattordicesimo contributo della rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP

di Elisa Mulone

Psicologa e psicoterapeuta

Presidente Nazionale PLP

 
 

È tempo di ferie, vacanze, pausa dal lavoro, dalla routine quotidiana.

Agosto è tempo di feriae Augusti, letteralmente “ferie in onore di Augusto”. Vennero istituite nel 18 a.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto e si festeggiavano il 1 agosto per celebrare la presa di Alessandria. Agosto era un mese ricco di festività e si configurava come periodo di riposo, di astensione da ogni attività lavorativa. I giorni di ferie erano per i romani, infatti, giorni sacri agli dei, feste religiose in cui non era consentito svolgere alcuna attività lavorativa. Col cristianesimo il giorno della festività è stato spostato al 15 agosto in onore dell’Assunzione di Maria. Ancora oggi, agosto rimane il mese di ferie per eccellenza.

 

 

È un periodo particolare agosto: in tempi normali, le città si svuotano dei propri abitanti per fare spazio ai turisti di diverse nazionalità. Quest’anno non viviamo tempi normali, siamo in emergenza covid, ancora, e le città si svuotano e basta. Molte attività, quelle che hanno riaperto dopo il lockdown richiudono. Il tempo sembra fermarsi. Chi rimane, se da un lato si può godere la quiete delle città semideserte, dall’altro può sperimentare momenti di isolamento e di profonda tristezza, ancor più nell’era covid in cui si è già sperimentata una chiusura e un isolamento forzati e prolungati. Agosto è tempo di pausa.

D’altro canto, se è vero che la pausa è fondamentale e necessaria, solo chi ha appreso a vivere relazioni piene e significative può tollerare di stare nella pausa, in “quel silenzio – come scrive il poeta e scrittore Giuseppe Conte, nel suo libro Il passaggio di Hermes – subitaneo ma quasi preordinato, leggero come un soffio e profondo come un baratro, in cui ciascuno di noi sente la propria solitudine sulla terra”.

La pausa è il tempo in cui le esperienze vengono assimilate, quel vuoto fertile che in Psicoterapia della Gestalt ci riporta al ritmo della vita e ci permette di esprimere la nostra creatività e ci prepara al cambiamento.

 

 

Scrive Giovanni Salonia, psicoterapeuta e frate cappuccino, nel suo libro Sulla felicità e dintorni: “La cultura narcisistica ci ha fatto perdere la capacità dell’intervallo, della pausa che ci riporta al ritmo della vita e della relazione e, parimenti, ci permette di assimilare le esperienze e di esprimere la nostra creatività. Chi, dopo un incontro con l’altro, sente emergere il bisogno della pausa, rivela che il contatto è avvenuto, che le anime si sono incontrate. Dentro la pausa che segue l’incontro con l’altro è nascosto il segreto della difficile, misteriosa armonia tra il darsi e il riprendersi, l’appartenere e l’essere unici”.

 

 

Nella società odierna, in cui imperversa la cultura dell’usa e getta, anche delle relazioni, tante, spesso superficiali ed effimere, risulta particolarmente difficile vivere la pausa in pienezza, come esperienza di crescita. Nel tentativo disperato di affermare la propria individualità, rifiutando ogni appartenenza, oggi si rischia di trovarsi di fronte a identità fragili, vuote, insoddisfatte, alla ricerca frenetica di qualcosa di più. Vivere l’inganno di potere bastare a se stessi si manifesta nel senso di solitudine che la pausa fa emergere.

Il vuoto è condizione necessaria al processo di crescita personale che avviene solo se è stata possibile una buona assimilazione. Ma, nella società liquida descritta da Bauman, si teme l’assimilazione dell’esperienza come limitazione della propria libertà, della propria spontaneità e di chissà quali opportunità.

La sfida oggi è, allora, “imparare a stare”, riscoprire il valore della pausa senza sentire di perdere tempo, di sprecare tempo. Rivalutare quel tempo come vuoto fertile, spazio in cui avvengono delle cose solo se lo abitiamo, in cui si può ritornare a se stessi per ascoltarsi, vivere pienamente le relazioni e in cui possono emergere i nostri reali bisogni. Senza il ritmo scandito dalla pausa, le esperienze si susseguono senza mai chiudersi, senza dare la possibilità a ciascuno di chiedersi: Cosa mi è rimasto di quell’esperienza? Cosa mi porto per le mie esperienze successive?

 

 

Allora è importante fermarsi, più spesso, non solo ad agosto, per riprendere fiato, recuperare energie. In questo tempo, più che mai, è importante interrompere la smania del fare a cui questa Pandemia, nonostante il lockdown, ci ha costretti. Almeno in vacanza, abbandoniamo la frenesia, non ci affaccendiamo, lasciamo che le cose accadano.

Citando nuovamente Salonia “Rinuncia a controllare la vita: la primavera fiorisce, anche se sei seduto e l’aspetti. Non spingere il fiume: scorre da solo. E non pretendere di fermarlo: saresti travolto”.