Una finestra su Bruxelles. L’equilibrio precario dell’Unione

di Theodoros Koutroubas, Università Cattolica di Lovanio, collaboratore di Confprofessioni, Bruxelles I cinesi sostengono che una persona che vive in un tempo di cambiamenti è una persona fortunata, forse perché essere testimone di importanti mutamenti dell’ ambiente socio-politico rende l’individuo desideroso di scoprire, discutere e conoscere non solo il modo in cui funziona le società,
di Theodoros Koutroubas, Università Cattolica di Lovanio, collaboratore di Confprofessioni, Bruxelles

I cinesi sostengono che una persona che vive in un tempo di cambiamenti è una persona fortunata, forse perché essere testimone di importanti mutamenti dell’ ambiente socio-politico rende l’individuo desideroso di scoprire, discutere e conoscere non solo il modo in cui funziona le società, ma anche la natura umana stessa.

Fondata dopo la fine della peggiore delle guerre nella storia, la Comunità europea, l’odierna Unione europea, ha attraversato momenti difficili. Si è reinventata e rinnovata dopo ogni “crisi”, e il suo attuale “regime” è il risultato di interminabili ore di negoziazione tra vecchi nemici, che hanno realizzato che le armi nucleari hanno reso irrealistico lo scenario di un nuovo conflitto armato tra gli stessi e che i loro interessi sarebbero stati raggiunti tramite strategie economiche piuttosto che con strategie di guerra.

Dopo la decisione di lasciare l’Unione europea presa della maggioranza dei cittadini del Regno Unito con il referendum del 2016, l’Unione sta nuovamente attraversando un momento storico difficile, con tutte le problematiche che tale situazione comporta e che rende, allo stesso tempo, il periodo storico in cui viviamo molto interessante.

Nelle prossime righe, ci concentreremo su una serie di sviluppi che fanno pensare ai cambiamenti significativi – seppur drammatici – che avverranno nel progetto europeo così come lo conosciamo e su chi saranno i principali attori nelle politiche decisionali. Questi sviluppi riguardano principalmente l’equilibrio interno dell’Unione, vale a dire l’equilibrio tra Commissione europea, Parlamento e Consiglio da un lato, e il sempre più complesso rapporto tra le diverse “alleanze” degli Stati membri.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un costante aumento dei poteri del Parlamento europeo nell’ambito della struttura dell’Unione. Il “diritto” del Parlamento di preselezionare il Presidente della Commissione europea, obbligando gli Stati membri a nominare per questa posizione la persona proposta dai deputati del gruppo (o dei gruppi) che hanno ottenuto la maggioranza dei seggi alle elezioni europee, è stato applicato per la prima volta dopo il voto del Parlamento europeo del 2014.

All’epoca, solo il Regno Unito (Primo Ministro David Cameron) si era opposto alla nomina di Jean-Claude Juncker, ex Primo Ministro del Lussemburgo, recentemente respinto dai suoi stessi connazionali, ma che beneficia del sostegno del Parlamento e del leader più influente dell’Unione europea, la Cancelliera tedesca Angela Merkel.

Allarmato dai risultati che hanno portato a Bruxelles e Strasburgo un numero senza precedenti di populisti, Cameron si espresse a favore di un nuovo candidato non ancora eccessivamente coinvolto in politica, che avrebbe inviato ai popoli d’Europa il chiaro messaggio che le loro voci e le loro preoccupazioni sui cambiamenti dell’Unione sarebbero state ascoltate. Il mandato di Junker e quello del suo collega Tusk, presidente del Consiglio ed ex primo ministro polacco anch’esso recentemente respinto dai suoi compatrioti, hanno confermato i timori di David Cameron. Segnata da arroganza, inefficienza e a volte provocazione (impossibile dimenticare l’incapacità di Junker di comprendere l’umore dell’opinione pubblica, quando si schierò a fianco dell’ex Presidente della Commissione José-Manuel Barroso per la nomina a Presidente non esecutivo di Goldman Sachs International), la Presidenza Junker ha assistito alla richiesta di uno dei maggiori contribuenti del bilancio UE di lasciare ufficialmente l’Unione europea e a una nuova elezione del Parlamento Europeo che ha portato un cospicuo numero di eurodeputati euroscettici in Aula, rompendo la tradizionale egemonia dei gruppi politici cristiano-democratici e socialisti.

La decisione presa dopo lunghi negoziati di nominare Ursula von der Leyen nuovo Presidente della Commissione ha deluso il Parlamento europeo perché non è stata presa in considerazione la sua preselezione segnando un passo avanti verso la riacquisizione del potere degli Stati membri. Gli eurodeputati hanno velocemente espresso il loro disappunto: la Von der Leyen potrebbe essere la prima donna Presidente della Commissione nonchè la prima tedesca ad esercitare questo ruolo dall’epoca di Walter Hallstein (1958 – 1967), ma è anche la prima Presidente della Commissione ad essere stata confermata da una minima parte del Parlamento europeo (383 voti a favore – 327 contrari: ha ottenuto 9 voti in più rispetto al minimo consentito per l’elezione) e ad avere tre dei suoi Commissari candidati respinti dagli eurodeputati: il francese, il rumeno e l’ungherese, ritardando così di un mese l’inizio del lavori della Commissione. Va notato che tra coloro che hanno votato a favore della sua nomina vi sono i deputati britannici, che dovranno lasciare il Parlamento europeo il giorno in cui Brexit sarà effettiva.

Pertanto, il nuovo mandato inizierà con una Commissione molto debole, che avrà difficoltà nell’approvazione delle legislazioni al Parlamento europeo e che dipenderà, rispetto ai suoi predecessori, di più dal Consiglio (e al quale obbedirà).

Vi è inoltre un importante cambiamento al Consiglio: con la data delle dimissioni già annunciata a causa dei suoi problemi di salute ed i disastrosi risultati del suo partito in tutte le elezioni regionali, la Merkel non raffigura più la leader incontestabile dei capi di Stato e di governo dell’UE. Desideroso di prendere il suo posto il Presidente della Francia – colui che ha “imposto” la Von der Leyen, ministro nel governo della Merkel sebbene non goda di popolarità politica in Germania – Emmanuel Macron, è anch’egli indebolito dai gravi disordini interni del suo paese. I deboli governi di Roma e Madrid completano il quadro, lasciando i leader euroscettici della Polonia, dell’Ungheria e del resto del Visengrad, che impongono una governance semi-autoritaria in patria, a contestare apertamente l’acquis comunitario.

Poiché la Brexit è in attesa del risultato delle elezioni nel Regno Unito, e data l’incertezza su chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti, l’elefante nella stanza che nessuno ammette di vedere è la revisione dei trattati UE, un imperativo se si vuole che l’Unione europea continui a svolgere un ruolo primario a livello internazionale e ad avere un impatto positivo sugli Stati membri. La recente sospensione dei negoziati con i paesi candidati dei Balcani, dopo un “veto” della Francia, dimostra che alcuni sono consapevoli della necessità di riformare l’Europa prima di poterla allargare.

Un politologo non è un mago e lo scrittore di queste righe non fa eccezione. Tuttavia, riteniamo che gli scenari possibili nascondono allo stesso tempo pericoli e opportunità. Un’Europa più forte, basata su un’unione dei volenterosi potrebbe ancora essere possibile. Una Germania indebolita, combinata con una Francia non altrettanto forte, può allontanare l’Unione europea dal modello franco-tedesco verso un modello in cui i paesi più piccoli ed i cittadini avranno più voce in capitolo. Il ruolo delle ONG, della società civile organizzata e dei sindacati potrebbe diventare più significativo in questo scenario.

Come si scriveva nei romanzi pubblicati sui giornali prima dell’era digitale….. to be continued!

 

 

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