Svimez, 45mila lavoratori in southworking

Secondo i dati della ricerca condotta da Datamining per Svimez l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud Quarantacinquemila lavoratori che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud per le grandi imprese del centro-nord. Questo il dato della ricerca realizzata da Datamining per conto di SVIMEZ, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel
Secondo i dati della ricerca condotta da Datamining per Svimez l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud

Quarantacinquemila lavoratori che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud per le grandi imprese del centro-nord. Questo il dato della ricerca realizzata da Datamining per conto di SVIMEZ, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.

 

 

Tenendo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti), molto più difficili da rilevare, il dato potrebbe crescere fino ad arrivare, nel periodo del lockdown, a circa 100 mila lavoratori meridionali. Si ricorda nello studio che attualmente sono circa due milioni gli occupati meridionali che lavorano nel Centro Nord. Dall’indagine emerge anche che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l’80% degli addetti, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking.

 

 

Il fenomeno, visto da molti come un’opportunità per trattenere i talenti nel Sud del Paese, presenta diversi vantaggi per imprenditori e dipendenti: per questi ultimi si parla di maggiore vicinanza alla famiglia, minor costo della vita, seguito dalla maggior possibilità di trovare abitazioni a basso costo, e flessibilità nello svolgimento del lavoro; mentre per i primi di riduzione dei costi fissi nelle sedi fisiche. Non vanno però dimenticati i lati negativi: per i datori di lavoro la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda; il necessario investimento da fare a carico dell’azienda; i problemi di sicurezza informatica; per i dipendenti i servizi sanitari e di trasporto di minor qualità, poca possibilità di far carriera e minore offerta di servizi per la famiglia. Secondo SVIMEZ, “emerge la necessità di adottare alcuni strumenti di policy per venire incontro alle richieste delle aziende: incentivi di tipo fiscale o contributivo per le imprese del Centro Nord che attivano southworking, riduzione dei contributi, credito di imposta una tantum per postazioni attivate, estendere la diminuzione dell’IRAP al Sud a chi utilizza lavoratori in southworking in percentuale sulle postazioni attivate, creazione di aree di coworking, promossi dalle pubbliche amministrazioni, prossimi alle infrastrutture di trasporto quali stazioni ed aeroporti, nei quali sia possibile la condivisione di spazi, per sviluppare relazioni, creatività e ridurre i costi fissi e ambientali”. 

 

 

In base ai dati dell’Associazione l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. Secondo la ricerca SVIMEZ, condotta su un campione di 2mila lavoratori, emerge che circa l’80% ha tra i 25 e i 40 anni, possiede elevati titoli 2 di studio, principalmente in Ingegneria, Economia e Giurisprudenza, e ha nel 63% dei casi, un contratto di lavoro a tempo indeterminato. 

 

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