Riscoprire la potenza dello sguardo

Nuovo appuntamento con la rubrica “Progetto Spazio Psicologico” curata dall’associazione Psicologi Liberi Professionisti di Elisa Mulone, psicologa e psicoterapeuta Presidente Nazionale PLP   La convivenza con il Covid 19 ci impone di ripensare e riadattare i nostri modi di relazionarci con gli altri: la nostra prossemica, distanziandoci di un metro e rinunciando agli abbracci, il
Nuovo appuntamento con la rubrica “Progetto Spazio Psicologico” curata dall’associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Elisa Mulone, psicologa e psicoterapeuta

Presidente Nazionale PLP

 

La convivenza con il Covid 19 ci impone di ripensare e riadattare i nostri modi di relazionarci con gli altri: la nostra prossemica, distanziandoci di un metro e rinunciando agli abbracci, il linguaggio non verbale che accompagna le nostre parole filtrate dalla mascherina.

 

Parlare di distanziamento sociale può confondere le persone spingendole a pensare che non è possibile stare “vicini” agli altri in questo momento storico. Come si sa, le parole hanno un peso nell’orientare i pensieri.

 

Come sostiene l’OMS è opportuno utilizzare l’espressione «distanziamento fisico» piuttosto che «distanziamento sociale». Perché? Non è forse equivalente? In realtà no.

 

Il concetto di distanziamento sociale ha origini sociologiche e viene inteso come chiusura relazionale di un soggetto nei confronti di altri percepiti come diversi e riconducibili a specifiche categorie sociali. Quello che ci viene chiesto, e che è necessario per limitare la diffusione del Covid 19 è, invece, il distanziamento fisico, ossia stare distanti fisicamente limitando i contatti corporei senza per questo allontanarci emotivamente dagli altri.

 

Martin W. Bauer, professore di psicologia sociale presso la London School of Economics, ha affermato che il «distanziamento sociale» è un’infelice scelta linguistica, poiché quello che fin dall’inizio della pandemia si rendeva necessario era il «distanziamento fisico».

 

È inevitabile che il mancato contatto corporeo abbia delle ricadute negative sul nostro benessere psicofisico. Nasciamo e cresciamo immersi in un universo di sensazioni corporee che ci nutrono e ci permettono una crescita fisica e psicologica. A prova di ciò ricordiamo gli esperimenti di Harlow sulle scimmie Rhesus che preferivano una madre di peluche calda e morbida ma che non forniva cibo ad una madre di latta fredda e non accogliente da cui potersi alimentare. Il nutrimento non è solo fisico. Le carezze sono il nutrimento dell’anima e del corpo inteso in maniera integrata, oltre il dualismo mente corpo di cartesiana memoria.

 

Il bisogno di contatto fisico è un bisogno fondamentale e la privazione di esso dunque ha effetti negativi soprattutto per i più piccoli e le persone più fragili. Per questa ragione è importante coltivare gesti di tenerezza nella cerchia più ristretta della famiglia tenendo conto del rischio di contagio a cui ciascuno è più o meno esposto. Pensiamo a quanti genitori operanti in ambito ospedaliero hanno scelto di non rientrare in casa per non esporre i propri familiari al rischio di contagio! Madri e padri che per senso di responsabilità hanno sacrificato la propria sfera affettiva per il bene comune.

 

Si parla tanto degli abbracci e di quanto ci mancano! Come possiamo sopperire alla mancanza degli abbracci per sentire maggiormente la vicinanza degli altri?

 

Si rende necessario rivalutare nuovi canali percettivi. Pensiamo allo sguardo. Quanto può arrivare in profondità uno sguardo?

 

Per fare in modo che il distanziamento fisico non diventi distanza relazionale possiamo fare tesoro delle parole di Giovanni Salonia, frate cappuccino e psicoterapeuta: “Forse scopriremo come i sensi non sono cinque, ma sette, nove, e magari anche di più. Ci renderemo conto che si può supplire a ciò che manca amplificando quel che già si ha … Forse cominceremo rendendoci conto come a volte sia più difficile guardarsi negli occhi che abbracciarsi. E che uno sguardo può riscaldare a lungo un cuore”. Anche le parole potranno essere più autentiche e arrivare anch’esse al cuore.

 

Quante volte gli abbracci sono stati vuoti? Dovuti alle circostanze? E quante parole hanno riempito spazi di imbarazzo, di formalità?

 

Allora possiamo fare tesoro di questa esperienza unica e irripetibile per allenarci a relazioni più autentiche sfruttando canali comunicativi, meno abituali, per ridurre le distanze.

 

Forse il Covid 19 ci potrà insegnare a dare valore a ciò che abbiamo piuttosto che rimpiangere ciò che ci manca.