Lavoro, Rapporto Cnel: il sistema formativo è inadeguato

“Un paese che guarda al passato e non al futuro” La situazione drammatica del mercato del lavoro ha radici strutturali perché riflette la debolezza di un’economia che è stagnante da anni. Disoccupazione giovanile, disuguaglianze territoriali e bassa occupazione femminile restano le criticità maggiori.   Se da un lato il tasso di occupazione ha superato i
“Un paese che guarda al passato e non al futuro”

La situazione drammatica del mercato del lavoro ha radici strutturali perché riflette la debolezza di un’economia che è stagnante da anni. Disoccupazione giovanile, disuguaglianze territoriali e bassa occupazione femminile restano le criticità maggiori.

 

Se da un lato il tasso di occupazione ha superato i livelli pre-crisi e raggiunto il livello più alto della storia recente del mercato del lavoro italiano (59,4%), pur rimanendo il più basso in Europa e molto al di sotto della media UE (69% esclusa la Grecia), lo scenario che emerge dal XXI Rapporto su “Mercato del lavoro e contrattazione collettiva” del CNEL mette in luce la fragilità del capitale umano del Paese, il vero grande gap dell’Italia. La nostra forza lavoro non è più competitiva rispetto alle stesse categorie di altri Paesi. Un fenomeno composito che scaturisce da diversi fattori tra cui i bassi livelli di istruzione terziaria rispetto alla media OCSE; le prospettive di occupazione per i laureati tra i 25 ed i 35 anni, inferiori a quelle dei diplomati dei corsi di studio professionali di istruzione secondaria superiore; la persistenza di fenomeni come i Neet (che secondo Eurostat 2018 raggiungono in Italia il 28,9%, quasi il doppio rispetto alla media europea); l’elevato numero dei low skilled (circa 11 milioni per il 52% uomini, concentrati nelle fasce d’età più avanzata).

 

Il Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, giunto alla XXI edizione, articolato in 18 capitoli, affronta i principali temi e i fenomeni sull’occupazione suddivisi in 3 sezioni: i lavori (I), le politiche del lavoro (II) e le relazioni industriali (III).

 

  • IL COMMENTO DEL PRESIDENTE TIZIANO TREU

“Il quadro che risulta dal Rapporto sul mercato del lavoro di quest’anno presenta più ombre che luci. Nonostante un leggero aumento dell’occupazione, la intensità di questa, misurata sulle ore lavorate, resta inferiore a quella del periodo precedente lo scoppio della crisi economica. L’occupazione femminile è ancora molto al di sotto di quella maschile e lontana dalle medie europee. La disoccupazione giovanile resta tre volte più alta di quella degli adulti. Il part time involontario denuncia il fatto che molte capacità umane sono forzatamente inutilizzate e colpisce ancora in prevalenza donne e giovani”, afferma il Presidente Tiziano Treu. “Così pure il lavoro a termine, emblema della precarietà, rimane alto, specie per le prime assunzioni riguarda in particolare giovani e donne. Le diseguaglianze territoriali sono cresciute e si riflettono anche sulle condizioni dei lavoratori. Questa situazione del mercato del lavoro non è contingente, ha radici strutturali, perché riflette la debolezza di un’economia che è stagnante da anni. Un’Italia ferma da oltre vent’anni su un sentiero di crescita che oscilla intorno allo 0.2% annuo e su un tasso di partecipazione al lavoro sempre inferiore a quella dei principali Paesi sviluppati non può competere nel mondo di oggi e non può dare prospettive alle generazioni future.

 

Va registrato il dato allarmante che nessuna regione italiana, è riuscita, a dieci anni dall’inizio della crisi, a tornare sul livello di benessere registrato prima del 2008. L’occupazione nel 2019 crescerà di un solo decimo di punto in più rispetto al tendenziale, e il tasso di crescita nel 2020 sarà più basso che nel 2019. Per modificare tale condizione non bastano rimedi isolati e parziali, né solo le modifiche legislative, comprese quelle più recenti.

Come ha più volte ricordato il CNEL, è necessario affrontare il problema nelle sue cause con un deciso cambio di rotta. Serve una elaborazione strategica che duri negli anni e che venga perseguita con determinazione e con costante monitoraggio.

 

 

  • IL CONTESTO

La stretta correlazione fra i dati quantitativi degli occupati e i cambiamenti intervenuti sotto l’aspetto normativo. Il Rapporto evidenzia come, con riferimento al periodo 2008-2018, l’incremento occupazionale registrato sia attribuibile esclusivamente al lavoro dipendente (+682.000 unità in 10 anni), a fronte di un calo di oltre mezzo milione di unità nel lavoro autonomo, e come tale positiva performance del lavoro dipendente vada ascritta in massima parte al tempo determinato e solo in misura minore – comunque non irrilevante – al tempo indeterminato trainato dagli incentivi.

 

Di particolare interesse – anche in un’ottica di confronto fra diverse possibili chiavi di lettura – appaiono le considerazioni riguardanti il fenomeno delle transizioni fra le diverse tipologie occupazionali del lavoro dipendente (determinato/indeterminato) sulla base delle rilevazioni ISTAT, dalle quali si evince una riduzione della permanenza nell’occupazione a termine e un corrispondente incremento delle trasformazioni a tempo indeterminato.

 

  • 1 LAVORATORE SU 10 È IMMIGRATO

Attualmente in Italia un occupato su dieci è immigrato, nel Paese sono occupati 2,45 milioni di stranieri, pari al 10,6% dell’occupazione complessiva. + 4,6% incremento occupazione rispetto al 2018. Si registra la coesistenza di un così alto livello di occupazione di immigrati in presenza di elevati livelli di disoccupazione interna. La tipologia più diffusa di occupazione immigrata, manuale e scarsamente qualificata, riguarda attività che non possono essere trasferite in Paesi dal costo del lavoro più basso (costruzioni, servizi alla persona). Il lavoro immigrato cresce ma senza regole («decreto flussi» e esigenze della domanda di lavoro)

 

 

  • L’IMPATTO DELLE TECNOLOGIE

Il fenomeno dell’automazione e della digitalizzazione dei processi produttivi ha penalizzato la crescita dell’occupazione in alcuni settori e professioni. Il capitolo mette inoltre in luce come l’adozione di tecnologie task biased incida negativamente sul numero delle giornate medie lavorate dagli individui in azienda e, di conseguenza, sulle prospettive di stabilità occupazionale e sull’accumulazione di competenze on the job. Le nuove tecnologie, peraltro, hanno effetto non solo su quantità e qualità dell’occupazione, ma causano un profondo mutamento della gestione delle risorse umane e dei fabbisogni professionali, agendo sugli stessi modelli di competizione. Tali aspetti possono indurre incrementi di efficienza produttiva e della capacità di incontro fra domanda e offerta di competenze che, sul medio-lungo periodo, possono in parte compensare l’impatto negativo in termini occupazionali. Prevedere Le nuove tecnologie, peraltro, hanno effetto non solo su quantità e qualità dell’occupazione, ma causano un profondo mutamento della gestione delle risorse umane e dei fabbisogni professionali, agendo sugli stessi modelli di competizione. Tali aspetti possono indurre incrementi di efficienza produttiva e della capacità di incontro fra domanda e offerta di competenze che, sul medio-lungo periodo, possono in parte compensare l’impatto negativo in termini occupazionali.

 

  • IL VERO GRANDE GAP: LA FRAGILITÀ DEL CAPITALE UMANO

Il XXI Rapporto Mercato del lavoro e contrattazione collettiva mette in luce il composito quadro della fragilità del capitale umano del Paese: i bassi livelli di istruzione terziaria rispetto alla media OCSE, le prospettive di occupazione per i laureati tra i 25 ed i 35 anni, inferiori a quelle dei diplomati dei corsi di studio professionali di istruzione secondaria superiore, la persistenza di fenomeni come i Neet (che secondo Eurostat 2018 raggiungono in Italia il 28,9%, quasi il doppio rispetto alla media europea), l’elevato numero dei low skilled (circa 11 milioni per il 52% uomini, concentrati nelle fasce d’età più avanzata). Il capitolo analizza come la debole offerta e la debole domanda di competenze nel contesto produttivo abbia generato un adattamento reciproco delle istituzioni formative e del mondo del lavoro, con una caratterizzazione al ribasso (fenomeno del low equilibrium nel linguaggio della Commissione Europea). Dal quadro emerge l’esigenza di policies per il reskilling e l’upskilling dei giovani e degli adulti in una prospettiva di long term employability, rispetto alle quali le raccomandazioni relative al piano europeo Upskilling pathways in Italy costituiscono un punto di riferimento fondamentale.

 

 

  • LA PRIORITÀ: INVESTIRE IN ISTRUZIONE

Le nuove tecnologie specie digitali stanno trasformando in profondità non solo le forme del lavoro, ma gli skills necessari alle persone che lavorano. Investire in istruzione migliora il tasso di partecipazione al mercato del lavoro e interviene su un preoccupante processo di spopolamento ed emigrazione che è in corso da vari anni e che coinvolge anche le aree più sviluppate del Paese.

La scuola è l’ambito per eccellenza sul quale è tanto strategico quanto ineludibile tornare ad investire, anche alla luce delle sollecitazioni europee che indicano come la scarsa dinamica della produttività italiana sia quasi esclusivamente attribuibile alle inefficienze del nostro sistema di formazione del capitale umano. A tale proposito il CNEL sottolinea con enfasi come la quota di Pil che il Paese destina a questa voce di spesa continui a collocarsi più di un punto e mezzo sotto la spesa media europea. Confronti con dati relativi alla spesa pensionistica mostrano drammaticamente un Paese che guarda al passato, piuttosto che al futuro. Queste tendenze richiedono un rinnovamento anche dei metodi e dei contenuti dell’insegnamento. Le migliori pratiche internazionali confermano che un insegnamento all’altezza delle sfide che ci attendono deve saper combinare in modo nuovo la formazione di competenze tecniche e specialistiche con l’arricchimento delle conoscenze di base e con lo sviluppo delle capacità personali.

 

  • SOSTEGNO ALL’OCCUPAZIONE GIOVANILE

I giovani sono l’anello debole del mercato del lavoro (dopo la crisi molti non sono rientrati nel mercato del lavoro). L’occupazione giovanile ha registrato un calo di 400 mila occupati dall’inizio della crisi (calo del 28,8%) tra i 15 e i 24 anni; mentre tra i 25 e i 34 anni dopo la crisi non sono più rientrati nel mercato del lavoro circa 1,4 milioni di giovani adulti (‐27%)

 

Il sostegno dell’occupazione giovanile non può basarsi né solo né in prevalenza su incentivi per le assunzioni, ancorché mirati e strutturali. Sono necessarie azioni di sistema sui nodi critici già ricordati: superare lo svantaggio dei nostri giovani nella dotazione culturale rispetto ai loro colleghi di altri paesi, portando tutti i livelli dell’istruzione agli standard europei secondo gli obiettivi dell’Agenda 2020 (50% di istruzione terziaria; abbattimento della dispersione scolastica sotto il 10%); rafforzare in particolare le competenze digitali che sono decisive per cogliere le opportunità della rivoluzione 4.0; migliorare gli strumenti per facilitare il primo accesso dei giovani al lavoro stabile (alternanza scuola-lavoro, tirocini, apprendistato); rafforzare con risorse dedicate l’attività dei centri per l’impiego pubblici e privati nel Sud, in particolare tutta la strumentazione della Garanzia Giovani.

Le componenti presenti nel Cnel hanno ribadito la necessità di impegnare le istituzioni, le imprese e tutte le forze sociali in uno sforzo eccezionale per promuovere non solo l’occupazione, ma più in generale l’autonomia giovanile. Per questo servono misure non solo in ambito lavoristico, primo fra tutti il lavoro stabile, ma anche la disponibilità di un’abitazione, la consulenza per l’avvio di attività imprenditoriali, la messa a disposizione di un patrimonio iniziale da spendere all’entrata nella vita adulta, secondo misure sperimentate in altri paesi (Francia)”. Tiziano Treu

 

 

  • AGE MANAGEMENT

Partendo dalla constatazione che la forza lavoro delle aziende italiane è tra le più anziane al mondo, si sottolinea come la maggior parte delle aziende stesse non sia ancora consapevole dell’urgenza di adottare strutturalmente politiche aziendali di age management nella gestione del personale.

 

  • RINNOVARE I CONTRATTI COLLETTIVI

Sul tema della contrattazione collettiva, che vede potenziato in formato digitale l’archivio dei contratti nazionali, i dati in possesso del CNEL presentano 20 CCNL del settore pubblico, tutti scaduti alla data del 30 settembre 2019. Per quanto riguarda il settore privato, al 25 ottobre 2019 risultavano depositati e vigenti 822 CCNL, dei quali 200 in scadenza fra il 1° ottobre 2019 e il 31 dicembre 2020 e relativi a una platea di circa 6,5 milioni di addetti, più o meno la metà del totale dei lavoratori dipendenti. La percentuale di lavoratori in attesa di rinnovo oscilla tra il 78% nel settore metalmeccanico e il 13-15% nel chimico e nelle aziende di servizi. Occorre segnalare, come più diffusamente analizzato nel capitolo di questo Rapporto dedicato all’archivio contratti, che i tre principali CCNL in scadenza al 31 dicembre di quest’anno, e precisamente quello delle aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, quello delle aziende metalmeccaniche e quello della logistica, coinvolgono una platea di più di 4 milioni di lavoratori

 

  • I CAMBIAMENTI NELLA CONTRATTAZIONE

Sul fronte della contrattazione il Rapporto evidenzia come il baricentro protettivo del lavoratore dalle tutele previste nel contratto si sia spostato alle “tutele nel mercato”, aprendo la strada ad un sistema di assicurazione universale contro la disoccupazione involontaria condizionata alla attivazione di meccanismi di reinserimento lavorativo e allentando i vincoli alla tutela reintegratoria. Si tratta del passaggio dalle politiche passive a quelle attive, una necessità dettata dall’insostenibile costo sociale rappresentato dalla quota di popolazione inattiva in età da lavoro, un mutamento di rotta coordinato della rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro affidata alla Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL).

 

Dall’analisi del CNEL emerge la debolezza dei servizi per il lavoro anche in ordine a uno dei passaggi più complicati rappresentato dalla raccolta dei dati in possesso di diverse Amministrazioni, periferiche o centrali; il superamento di tale difficoltà richiede non soltanto la collaborazione, ma anche il possesso di adeguate capacità tecniche, organizzative e professionali in capo ai diversi soggetti operanti, per mettere a sistema le informazioni secondo protocolli che rendano possibile attuare con efficacia i provvedimenti legislativi che si susseguono (reddito di inclusione, reddito di cittadinanza e nuovo ruolo dei servizi per l’impiego).

 

  • REDDITO DI CITTADINANZA E ALTRE MISURE DI SOSTEGNO

Il Rapporto offre una prima valutazione degli effetti prodotti dall’introduzione del Reddito di cittadinanza, non mancando di sottolineare le criticità connesse all’adozione del provvedimento proprio in chiave incentivante dell’occupazione. In un contesto di debole domanda del lavoro, infatti, gli sgravi previsti in favore delle imprese che assumono i beneficiari dello strumento potrebbero finire per indurre le stesse a privilegiare questa tipologia di disoccupati, invece dei percettori di Naspi. Il Rapporto esamina anche l’incidenza dei nuovi “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” introdotti con la legge 30 dicembre 2018, n. 145 (e nota del MIUR n. 3380 dell’8 febbraio 2019) su aspetti sostanziali della disciplina preesistente dell’Alternanza scuola-lavoro (riduzione del monte ore obbligatorio e dei finanziamenti).  Emerge la fotografia di un sistema che, nonostante le difficoltà, ha individuato, al proprio interno e nelle relazioni con il territorio, le condizioni abilitanti per realizzare percorsi di alternanza di qualità, con scuole capaci di valorizzare l’alternanza nel curricolo individuandone i punti di forza nello sviluppo delle competenze relazionali, con positive ricadute nella didattica e con soddisfazione di studenti e famiglie.

 

  • COME USCIRE DA QUOTA 100

Sul provvedimento relativo a Quota 100, il CNEL ha discusso più volte esprimendo posizioni anche diverse al suo interno. Ma una considerazione comune ha riguardato la necessità di fare una valutazione attenta sul trade off fra costi e benefici di questa misura. Oggi però si pone il problema urgente di come “uscire” da Quota 100. In particolare, occorre evitare che la sua fine, prevista per il 2021, crei un “buco previdenziale” di alcuni anni, lasciando scoperte le coorti di lavoratori interessati.

 

  • LE RELAZIONI INDUSTRIALI

Dall’Archivio contratti del CNEL, potenziato con l’implementazione dei dati INPS, emerge Le azioni di contrasto alle pratiche sleali debba passare attraverso la individuazione di un set di parametri che prendano in considerazione i contenuti degli accordi nazionali, realizzando in tal modo una griglia di lettura qualitativa che, tra l’altro, contribuisca a valutare la congruità della destinazione delle risorse pubbliche finalizzate a incentivare la contrattazione collettiva in funzione di obiettivi di produttività e competitività del sistema produttivo.

 

  • ISTITUZIONE DEL COMITATO PER LA PRODUTTIVITÀ

La necessità di affrontare il tema con analisi approfondite per fornire proposte attendibili ai problemi della competitività del Paese, ha suggerito al CNEL di richiamare il Governo e il Parlamento sulla urgenza di dare seguito anche in Italia alla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione del 20 settembre 2016 sulla istituzione di un comitato nazionale indipendente per la produttività. A tal fine ha avanzato la proposta di istituire tale comitato nazionale per la produttività presso il CNEL.

Il Comitato è composto dai rappresentanti delle principali istituzioni competenti in materia di economia, finanza pubblica, investimenti e politiche per il lavoro. Avrebbe compiti di analisi, valutazione, monitoraggio, formulazione di proposte e raccomandazioni in tema di produttività e competitività. Il CNEL ritiene utile promuovere, sin da subito, un coordinamento con le altre Istituzioni competenti e con le forze sociali e produttive al fine di predisporre un piano condiviso di interventi strutturali per il rilancio della competitività del sistema produttivo, da sottoporre al decisore pubblico. A riguardo, sarà tempestivamente avviato un ciclo di audizioni con le principali istituzioni nazionali competenti in materia di finanza pubblica, sviluppo economico, competitività e sistema creditizio.