DEF, Scotti: necessari maggiori investimenti e responsabilità di governo per sanità

Di seguito il comunicato stampa diffuso dalla Federazione Medici di Medicina Generale lo scorso 27 aprile “Se l’attuale DEF ormai consolida che il rapporto fra spesa sanitaria e Pil inizierà a crescere solo a partire dal 2022, non è invece più sopportabile che non vengano individuate al suo interno nuove forme di investimento e opportunità
Di seguito il comunicato stampa diffuso dalla Federazione Medici di Medicina Generale lo scorso 27 aprile

“Se l’attuale DEF ormai consolida che il rapporto fra spesa sanitaria e Pil inizierà a crescere solo a partire dal 2022, non è invece più sopportabile che non vengano individuate al suo interno nuove forme di investimento e opportunità di finanziamento come ad esempio la defiscalizzazione su innovazione tecnologica, la decontribuzione su nuove assunzioni, che da tempo riteniamo necessari, in assenza di un aumento del FSN, a sviluppare una medicina territoriale capace di garantire un livello di assistenza adeguato al cambiamento demografico ed epidemiologico della popolazione italiana,  con particolare riferimento alle presa in carico dei pazienti cronici e allo sviluppo dell’ICT, e particolare riguardo alla telemedicina. Se non si investe in prevenzione, se non si aumenta l’offerta assistenziale e si potenzia la medicina del territorio, anche attraverso nuove forme di finanziamento e potenziando l’imprenditorialità dei professionisti, andremo incontro ad un Paese povero e in cattiva salute!”. E’ quanto dichiara Silvestro Scotti, segretario nazionale della FIMMG (Federazione italiana medici di medicina generale) in merito al Documento di Economia e Finanza 2018 approvato ieri.

 

“La mancanza di un Governo – prosegue Scotti – non permette di portare avanti scelte di natura economico-finanziaria nel breve e medio termine, in un Paese in cui i lavoratori, la cui età media a 45 anni è la più alta d’Europa, sono obbligati a rimanere attivi fino al settantesimo anno di età, e dove la fascia di età 60-70 è sempre più interessata dalle malattie croniche. Dunque dobbiamo restare a lavoro più a lungo e in buona salute. Con quali costi per il nostro sistema previdenziale e sanitario, con quali nuovi modelli assistenziali?”

 

“Sono evidenti i rischi di un collasso della produttività, con conseguente ulteriore calo del P.I.L., se non si avvieranno interventi per sostenere la capacità lavorativa delle persone in età avanzata e potenzialmente con patologie croniche. E’ giunta l’ora di chiedersi se, dopo aver deciso, unico Paese in Europa insieme alla Grecia, di elevare oltre i 65 anni l’età pensionabile, e considerando che dopo i

65 anni l’80% della popolazione ha almeno una patologia cronica, non sia necessario per tenerli in attività intraprendere politiche tempestive di prevenzione delle più comuni patologie croniche che una volta determinatesi renderanno complicato lavorare in tarda età. 

Inutile nascondere che tale situazione creerà il paradosso di far apparire  come una soluzione ulteriori aumenti dell’età pensionabile quando invece si fa finta di non vedere che si avrà il risultato di aggravare i conti degli enti previdenziali a partire dall’INPS che, avendo competenza anche sull’aumento dei costi conseguenti alla assistenza per inabilità da malattia, negli ultimi anni pagheranno in assistenza quelli che apparentemente risparmiano in previdenza”

 

“Appare evidente che serve un progetto di governo – governo forte perché connesso alla scelta fatta dai cittadini italiani – che consideri l’offerta pubblica di salute del nostro SSN e la medicina generale in esso contenuta, una forte garanzia nel controllo delle cronicità. Controllo della cronicità che appare l’unica soluzione per modelli previdenziali che, definendo l’arco di vita produttiva di un cittadino italiano, condizionano la produttività del Paese, se non si vuole mettere a rischio tutele come il diritto alla salute e il diritto alla giusta pensione nel momento giusto della vita.”