ALBI & MERCATO – Ai professionisti competenze nuove, non solo compensi equi

Intervento di Gaetano Stella su Il Sole 24 Ore L’approvazione del Jobs act del lavoro autonomo ha innescato un’interessante riflessione sulle prospettive dei professionisti, che solleva parecchi interrogativi sulle strategie da mettere in campo per delinearne il loro futuro assetto. Su questo terreno affollato si incrociano i decisori politici, gli organi di governo e disciplina
Intervento di Gaetano Stella su Il Sole 24 Ore

L’approvazione del Jobs act del lavoro autonomo ha innescato un’interessante riflessione sulle prospettive dei professionisti, che solleva parecchi interrogativi sulle strategie da mettere in campo per delinearne il loro futuro assetto. Su questo terreno affollato si incrociano i decisori politici, gli organi di governo e disciplina delle professioni e le associazioni di rappresentanza dei professionisti, insieme a una pluralità di attori a caccia di visibilità. Il risultato di tale impegno è una fotografia “mossa” che ritrae l’universo professionale in bilico tra posizioni di salvaguardia e spinte evolutive.

Negli ultimi dieci anni – fatte salve rare eccezioni, come appunto il Jobs act sugli autonomi che ha tenuto conto di molte istanze di Confprofessioni – le disposizioni normative che hanno inciso sui professionisti non hanno saputo assecondare le trasformazioni in atto negli studi, ma si sono concentrate più su nuovi adempimenti che ne appesantiscono l’attività. Dieci anni di crisi che hanno lasciato il segno sull’organizzazione degli studi, sui redditi del professionista e sui meccanismi sociali del Paese. Parallelamente, però, si è delineata una linea evolutiva caratterizzata dall’avanzare turbolento delle innovazioni tecnologiche, dalla crescente mobilità dei professionisti e la conseguente apertura dei mercati internazionali, insieme a un mutamento delle competenze professionali che diventano sempre più duttili e trasversali rispetto a campi di conoscenza tecnica settoriali. Il settore professionale è dunque in mezzo a un guado: può avvitarsi su collaudati meccanismi che finora ne hanno messo al riparo l’impianto tradizionale; oppure può affrontare le sfide dei nuovi modelli di professionalismo, intercettando tali dinamiche e volgendole a vantaggio dell’economia del settore e del Paese.

Da questo punto di vista il Jobs act del lavoro autonomo rappresenta uno spartiacque. Eppure, al di là della portata innovativa delle misure introdotte, rischia di trasformarsi in un’anatra zoppa. Innanzitutto, è obiettivamente complesso cristallizzare in un dispositivo legislativo i profondi cambiamenti che caratterizzano le professioni; molto, poi, dipenderà da come verranno attuate le deleghe previste dalla legge sul lavoro autonomo (per esempio sulla devoluzione agli ordini professionali di alcune funzioni fin qui svolte dalla P.A.). In questo contesto, poi, stanno prendendo quota altri provvedimenti correlati con il Jobs act sugli autonomi, a cominciare dall’equo compenso: una questione non più derogabile per allentare gli squilibri strutturali che regolano, per esempio, gli appalti della P.A..

Diciamo subito che l’equo compenso non è la panacea di tutti i mali dei professionisti, tuttavia l’attuale contesto impone un intervento risolutivo per colmare il vuoto causato da dieci anni di deregulation. Occorre qui rilevare come il corollario di osservazioni, puntualizzazioni e pressioni che accompagnano i primi passi dell’equo compenso in Parlamento, denotano una non sufficiente conoscenza della realtà professionale o, peggio, “cavalcano” il mal di pancia di migliaia di professionisti. Né appare condivisibile l’approccio ideologico che ribalta le gerarchie di intervento: non ci si può soffermare solo sulla determinazione dei compensi, ma è necessario agire sulle cause che hanno provocato il progressivo restringimento delle opportunità di mercato e di un generalizzato arretramento della mobilità sociale.

Il dibattito sull’equo compenso rischia di essere la cifra dell’involuzione strategica del sistema professionale, che dovrebbe piuttosto esprimere un modello di sviluppo che sia in grado di intercettare nuove competenze, da declinare nei diversi ambiti dell’economia e della società. Insieme con un’efficace politica di remunerazione e di una ridefinizione più moderna dei profili professionali, emerge la necessità di individuare forme alternative di tutela che possano bilanciare gli squilibri economici delle fasce meno protette. In uno scenario di mercato in sofferenza diventa strategico ricorrere a strumenti di “retribuzione figurativa” attraverso lo sviluppo di servizi e prestazioni garantiti, per esempio, dalla contrattazione collettiva e dagli strumenti della bilateralità che fanno capo a Confprofessioni, e che devono essere estesi a tutte le componenti del lavoro autonomo professionale, sulla linea di quanto tracciato dal ministero del Lavoro in materia di politiche attive.

Le professioni rappresentano una fetta determinante del prodotto interno del nostro Paese e svolgono una funzione imprescindibile di protezione di valori essenziali delle nostre società. Questo patrimonio richiama le istituzioni a un’opera di manutenzione del sistema normativo e di tutela dei valori del professionalismo. Ma dev’essere anche uno stimolo per l’intero sistema professionale a cogliere le tendenze evolutive del mercato professionale e su queste definire una strategia condivisa che possa assicurare la crescita competitiva del settore, insieme con una rinnovata identità del professionista.