Affaire Akzo, il giurista d’impresa non può essere paragonato a un avvocato esterno

Le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Juliane Kokott, mettono in dubbio il segreto professionale dei legali interni alle aziende Il 14 Settembre l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Juliane Kokott, ha presentato le sue conclusioni sulla causa Causa C-550/07 P (Akzo Nobel Chemicals Ltd e altri contro Commissione europea), relativa
Le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Juliane Kokott, mettono in dubbio il segreto professionale dei legali interni alle aziende

Il 14 Settembre l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Juliane Kokott, ha presentato le sue conclusioni sulla causa Causa C-550/07 P (Akzo Nobel Chemicals Ltd e altri contro Commissione europea), relativa ad una richiesta di annullamento di due decisioni della Commissione europea con le quali si era ordinato a due imprese del Regno Unito di sottoporsi ad accertamenti diretti alla ricerca di prove relative ad eventuali pratiche anticoncorrenziali, e, al contempo, era stata respinta la domanda diretta ad ottenere la tutela di documenti controversi alla luce del principio della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti (due messaggi di posta elettronica scambiati tra il direttore generale ed un avvocato iscritto all’ordine forense olandese, membro del servizio giuridico e dunque dipendente di una di tali imprese).
Il caso nasce da un accertamento che la Commissione europea, in veste di autorità antitrust, effettuò nel febbraio 2003 nel Regno Unito presso i locali della Akzo Nobel Chemicals Ltd. e della Akcros Chemicals Ltd. (Akcros), durante il quale gli agenti della Commissione acquisirono le fotocopie di alcuni documenti che i rappresentanti della Akzo e della Akcros consideravano, invece, non sequestrabili in quanto, a loro avviso, coperti dal segreto professionale dell’avvocato.
I ricorsi precedentemente proposti dalle due società dinanzi al Tribunale di primo grado erano stati respinti e la Corte di Giustizia ha a sua volta rigettato l’impugnazione della sentenza di primo grado, osservando che la corrispondenza che può beneficiare della tutela della riservatezza deve essere scambiata con un “avvocato indipendente, cioè non legato al cliente da un rapporto di impiego”. Il requisito di indipendenza implica, infatti, l’assenza di qualsiasi rapporto di impiego tra l’avvocato ed il suo cliente, con la conseguenza che la tutela in base al principio della riservatezza non può ritenersi estesa agli scambi intercorsi all’interno di un’impresa o di un gruppo con avvocati interni. Aderendo sul punto alle conclusioni rassegnate dall’Avvocato generale, la Corte ha altresì affermato che il concetto di indipendenza dell’avvocato viene determinato non solo in positivo, mediante un riferimento alla disciplina professionale, bensì anche in negativo, vale a dire con la mancanza di un rapporto di impiego.
Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale, sottolinea che “La tutela del segreto professionale dell’avvocato nel diritto dell’Unione riveste il rango di principio giuridico generale avente natura di diritto fondamentale. Da un lato, ciò discende dai principi comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri: allo stato attuale il segreto professionale dell’avvocato è riconosciuto in tutti i ventisette Stati membri dell’Unione europea, e la sua tutela risulta assicurata talora in via solo giurisprudenziale , il più delle volte, invece, perlomeno da una previsione di legge ordinaria se non addirittura costituzionale .Dall’altro lato, la tutela del segreto professionale dell’avvocato può essere desunta anche dall’art. 8, n. 1, della CEDU (tutela della corrispondenza) in combinato disposto con l’art. 6, nn. 1 e 3, lett. c), della CEDU (diritto ad un processo equo), nonché dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (rispetto delle comunicazioni) in combinato disposto con gli artt. 47, primo e secondo comma, seconda frase, e 48, n. 2, della Carta stessa (diritto a farsi consigliare, difendere e rappresentare, rispetto dei diritti della difesa)”.
Accanto però a questa precisazione, si evidenza come “Nel presente procedimento l’esistenza del segreto professionale dell’avvocato in quanto tale non è seriamente contestata da nessuno. Assai controversa è invece l’ampiezza della tutela che tale segreto concede. Nella specie si tratta di chiarire se, ed eventualmente in quale misura, le comunicazioni interne all’impresa o al gruppo con gli avvocati d’impresa rientrino, per il diritto dell’Unione, nell’ambito di tutela del segreto professionale dell’avvocato. Da ciò in definitiva dipende, in modo decisivo, l’ampiezza dei poteri di accertamento della Commissione nei procedimenti per comportamento anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 14 del regolamento n. 17 (rispetto ai casi futuri, il riferimento è agli artt. 20 e 21 del regolamento n. 1/2003 ). Dalla lettura delle conclusioni emerge ancora che “Solo se un giurista è soggetto, quale avvocato, ai consueti vincoli deontologici previsti nell’Unione europea e inoltre non ha un rapporto di impiego con il suo cliente, le comunicazioni tra di loro sono protette, in base al diritto dell’Unione, dal segreto professionale dell’avvocato”.
Tale conclusione si fonda sulla considerazione che un avvocato d’impresa, nonostante la sua iscrizione all’Ordine forense e i vincoli deontologici che ne conseguono, non gode dello stesso grado di indipendenza dal suo datore di lavoro di cui gode nei confronti dei suoi clienti un avvocato che lavora in uno studio legale esterno. In tali condizioni l’avvocato d’impresa non può affrontare eventuali conflitti di interesse tra i suoi doveri professionali e gli obiettivi e i desideri del suo cliente con la stessa efficacia di un avvocato esterno. Sotto tale profilo, ad avviso della Corte, nonostante la disciplina professionale applicabile nel caso di specie in base alle pertinenti disposizioni del diritto olandese sia stata ritenuta comunque idonea a rafforzare la posizione dell’avvocato che lavora all’interno di un’impresa, l’avvocato interno non può, indipendentemente dalle garanzie di cui gode nell’esercizio della sua professione, essere equiparato ad un avvocato esterno a causa della situazione di lavoratore subordinato in cui si trova, situazione che, per sua stessa natura, non consente all’avvocato interno di discostarsi dalle strategie commerciali perseguite dal suo datore di lavoro e che dunque influisce sulla sua capacità di agire con indipendenza professionale.
 

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