Professionisti, presunzioni automatiche da indagini finanziarie al capolinea

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi People Lending Money   Al ritorno dalle vacanze estive, è in dirittura d’arrivo una notizia piacevole per il mondo professionale riferita ai controlli fiscali e nello specifico all’accertamento bancario, novità seguita con particolare attenzione da Confprofessioni, anche in forza di una puntuale proposta di modifica normativa. Il Governo, nell’ambito

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

 

Al ritorno dalle vacanze estive, è in dirittura d’arrivo una notizia piacevole per il mondo professionale riferita ai controlli fiscali e nello specifico all’accertamento bancario, novità seguita con particolare attenzione da Confprofessioni, anche in forza di una puntuale proposta di modifica normativa.

Il Governo, nell’ambito dei vari decreti attuativi della riforma fiscale, ha deciso di innovare profondamente le disposizioni che regolano le indagini finanziarie e, nel caso specifico, dei professionisti.

Il punto di arrivo sarà l’eliminazione di qualsiasi automatismo, non soltanto in riferimento ai prelievi dai conti bancari e postali, problematica già risolta positivamente dalla Corte Costituzionale, ma anche (e si deve aggiungere, soprattutto) in ordine ai versamenti sui conti correnti, che non potranno più essere considerati acriticamente compensi sottratti alla tassazione. Si tratta di novità assai rilevante; una sorpresa molto gradita, che comunque non deve indurre ad abbassare la guardia e a non gestire con buon senso determinate situazioni che potrebbero far generare spiacevoli equivoci.

Andando con ordine, è noto che proprio per i professionisti il tema delle indagini finanziarie ha rappresentato una vera e propria “spada di Damocle”, posto che a fronte della totale assenza di regole precise circa i comportamenti da adottare, vi era in completa contrapposizione una disposizione di particolare incisività e invasività, secondo la quale qualsiasi versamento e/o prelevamento non giustificato poteva essere tramutato da parte dell’amministrazione finanziaria in compenso professionale. Tale presunzione assumeva contorni assai dilatati per professionisti, spesso e volentieri vessati dalla ricerca di giustificazioni che non potevano che ancorarsi alla logica e al buon senso. Il perché di una situazione di imbarazzo è presto spiegato: la movimentazione di contanti non è vietata nello svolgimento dell’attività professionale, potendosi tranquillamente incassare in tal modo i compensi, semperchè di importo non superiore a euro 999,00. Allo stesso tempo, non vi sono particolari regole da seguire (ad esempio, non esiste l’obbligo di un conto dedicato o quello di versare sui conti correnti tutto ciò che si è incassato entro un determinato lasso temporale), così come nulla vieta al professionista di trattenere importi per i propri interessi lavorativi e/o familiari e versare in banca solo ciò che resta.

 

Ebbene, a fronte dell’assenza di simili regole, proprio sul fronte delle indagini finanziarie si registrava una posizione di rigidità estrema, considerato che secondo l’Agenzia delle Entrate servivano sempre e comunque prove rigorose circa la provenienza dei versamenti e l’utilizzo delle somme prelevate.

La prima spallata a tale stato di cose è giunta con la oramai famosa sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, che ha sottolineato come  l’attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, che diviene quasi del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Fissato tale assunto, la sentenza in commento ha sottolineato che:

  • il reddito professionale è normalmente gestito con un sistema di contabilità semplificata, con inevitabile e fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali;
  • il mondo professionale è anche influenzato dall’introduzione dell’obbligo dei pagamenti tracciati, con conseguente limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che possono prestarsi ad operazioni evasive.

La naturale conclusione cui sono giunti i giudici Costituzionali è che per i professionisti non poteva trovare applicazione la presunzione normativa di evasione in materia di prelevamenti.

Il governo, fatto tesoro di tale puntualizzazione, ha deciso di riconsiderare in toto il problema dei prelevamenti, non soltanto avendo riguardo ai professionisti, ma decidendo di eliminare il sistema presuntivo anche per il mondo “impresa”. Quando finalmente la variazione normativa vedrà la luce, salvo ulteriori modifiche, nessun automatismo si avrà sui prelevamenti e per coloro che svolgono attività di impresa residuerà solo l’obbligo di indicare il beneficiario degli importi prelevati, pena l’irrogazione di una sanzione proporzionata al prelievo. 

Per i professionisti, comunque, la situazione che tende a configurarsi è pacifica, posto che da un lato sarà confermato quanto deciso dalla Corte Costituzionale e, dunque, i prelievi non potranno più formare compensi e in ogni caso non vi saranno conseguenze sanzionatorie in caso di mancata indicazione del beneficiario del prelievo.  Almeno queste, infatti, sono state le precisazioni rese negli incontri istituzionali avuti lo scorso luglio e rispetto ai quali proprio Confprofessioni ha avanzato specifiche puntualizzazioni.

La prima buona notizia è pertanto che, a breve, l’argomento “prelievo” potrà essere definitivamente archiviato in soffitta.

La sorpresa del disegno di legge è però un’altra: nel modificare la norma in materia di indagini finanziarie, il legislatore ha deciso di cancellare anche la parola “compensi” dalla presunzione ancorata non solo ai prelevamenti ma anche ai versamenti. Questo vuol dire che non esisterà più l’automatismo accertativo secondo cui il versamento a prima vista non giustificato può rappresentare maggior compenso professionale. D’altra parte questo automatismo era stato già criticato da parte della giurisprudenza, che aveva evidenziato come un contribuente, privo di specifici obblighi contabili (come coloro che sono in regimi agevolati o in contabilità semplificata), ben poteva incassare 1.000, trattenere per esigenze lavorative 200, usare per esigenze personali 300 e procedere al versamento di 500, importo che doveva essere considerato giustificato sul piano della deduzione logica.

Quando entrerà in vigore la preannunciata modifica normativa una simile situazione non dovrà più far paura: nessun automatismo, infatti, potrà essere applicato. Trattasi sicuramente della migliore notizia auspicabile sul piano normativo per i professionisti, che possono finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Attenzione, però. Ciò non significa che ognuno potrà fare quel che gli pare e che le indagini finanziarie non potranno più essere svolte da parte dell’amministrazione finanziaria. 

Resta  infatti immutata la prima parte della norma di riferimento in materia di indagine finanziaria, vale a dire l’articolo 32, primo comma, n. 2 del DPR 600/73, con la conseguenza che i dati e le notizie derivanti dallo svolgimento di tali controlli (tra cui, evidentemente, i versamenti per i professionisti), potranno comunque essere utilizzati nell’ambito delle tradizionali tipologie di accertamento esistenti. Di fatto, se si è in presenza di un conto corrente con movimentazioni che il contribuente non è in grado di giustificare (si pensi a versamenti rilevanti a fronte di fatturazione di importo decisamente inferiore) l’Agenzia delle Entrate potrà comunque utilizzare dette informazioni per effettuare, ad esempio, un accertamento analitico induttivo, oppure giungere a dichiarare l’inattendibilità complessiva della contabilità del professionista e procedere ad un accertamento induttivo puro. 

Al che appare ovvio che bisogna sempre avere cognizione di quel che accade sul proprio conto corrente e tracciare, seppur informalmente, i versamenti e la relativa origine. Volendo fare un parallelo, è come se per le indagini finanziarie stia accadendo ciò che già si è verificato per gli studi di settore e per il redditometro. Si è in presenza di una presunzione semplice che non può condurre ad un accertamento in automatico ma che può comunque consentire la selezione del contribuente per altre indagini. 

Ad esempio, se il professionista dichiara 50 mila euro di compensi e poi ha versamenti sul conto corrente per 90 mila euro, è evidente che potrà essere convocato per fornire delle attendibili spiegazioni e se è vero che in automatico l’amministrazione finanziaria non può accertare 90 mila euro di compensi totali, è altrettanto vero che se il professionista non giustifica il perché dei 40 mila euro versati in più (dove a livello difensivo tutto torna utile, dalla donazione alla vincita al totocalcio, dall’eredità, al prestito del parente, etc), l’agenzia delle entrate procederà ad un accertamento di altro genere. Come per gli studi di settore e per il redditometro, deve concludersi che l’assenza di idonee giustificazioni non permetterà al contribuente di evitare l’accertamento. 

In definitiva, dallo stato dell’arte appena descritto deriva che:

1) I versamenti dei professionisti non possono più originare un automatismo accertativo;

2) stesso dicasi per i prelevamenti;

3) I versamenti non giustificati potranno comunque innescare altre tipologie di accertamento.

Le notizie sono sicuramente positive; l’attenzione deve rimanere alta per evitare spiacevoli sorprese ma una cosa è certa: almeno è possibile tirare un piccolo sospiro di sollievo post vacanze. Buona ripresa a tutti!