Vincoli di destinazione. Non tutti i vincoli riescono col buco

Dopo l’analisi, con il precedente contributo, della tenuta o meno del fondo patrimoniale costituito dalla famiglia e finalizzato al soddisfacimento dei bisogni della medesima, rispetto all’aggressione dei creditori, è il momento di fare il punto della situazione sull’altro istituto avente finalità simili, previsto dall’articolo 2645-ter de codice civile: i vincoli di destinazione.   I punti

Dopo l’analisi, con il precedente contributo, della tenuta o meno del fondo patrimoniale costituito dalla famiglia e finalizzato al soddisfacimento dei bisogni della medesima, rispetto all’aggressione dei creditori, è il momento di fare il punto della situazione sull’altro istituto avente finalità simili, previsto dall’articolo 2645-ter de codice civile: i vincoli di destinazione.

 

I punti di riferimento

Sin d’ora va sottolineato che laddove un soggetto vincoli un immobile (andiamo sul pratico ed escludiamo i beni mobili registrati) al soddisfacimento di un legittimo bisogno, il destinatario del beneficio può essere una qualunque persona meritevole di tutela.

Un aspetto che deve sin d’ora essere compreso è che non rileva di per sé la qualifica della persona, bensì la finalità che con il vincolo dell’immobile si intende garantire a quella persona. E’ ovvio che più la persona è debole (portatore di handicap, anziana a basso reddito, persona di mezza età ma senza titoli di studio qualificanti non inserita nel mondo del lavoro, etc.) più la finalità di tutelare mediante il vincolo sull’immobile e sui suoi frutti (es. i canoni derivanti dall’affitto) quella persona, è meritevole di considerazione ai nostri fini. 

Dunque il vincolo alla “destinazione” meritevole determina un “vincolo del bene al fine” e la conseguente impossibilità da parte dei creditori del soggetto conferente di aggredire tale bene.

Solo i creditori riferibili al fine cui è destinato l’immobile possono aggredire l’immobile medesimo.

 

Inefficacia del vincolo nel termine breve di un anno

Come già fatto presente nel precedente contributo riferito al fondo patrimoniale, anche i vincoli di destinazione sono annoverabili tra gli atti a titolo gratuito che consentono l’esecuzione e espropriazione dei beni vincolati.

In base all’articolo 2929-bis, infatti, il creditore che si ritiene pregiudicato dalla costituzione del vincolo sul bene, può agire esecutivamente senza dover chiedere prima la revocatoria ordinaria. Si tratta di un rimedio “lampo” perché in luogo di instaurare l’azione revocatoria che verosimilmente si protrarrà per anni, si può procedere immediatamente al pignoramento alla sola condizione che il vincolo sull’immobile non sia stato apposto da oltre un anno rispetto all’avvio della esecuzione.

 

Inefficacia del vincolo nel termine lungo di 5 anni

Si usa dire, e ciò vale anche per il fondo patrimoniale, che il vincolo di destinazione si consolida e diviene efficace trascorsi cinque anni dalla trascrizione del vincolo medesimo alla Conservatoria dei registri immobiliari. Ciò significa che se un creditore del disponente cerca di aggredire l’immobile e scopre che l’immobile 4 anni prima è stato vincolato ad un determinato fine, egli potrà comunque aggredire l’immobile tramite l’azione revocatoria ordinaria dimostrando che il vincolo è stato apposto al fine di sottrarre il bene alla sua esecuzione. Se, invece, sono trascorsi almeno 5 anni da quando l’immobile è stato vincolato, non si può presumere che il soggetto conferente sia stato tanto lungimirante e scientificamente calcolatore da apporre il vincolo al preordinato fine di sottrarsi alla esecuzione con riferimento ai debiti che avrebbe contratto a partire dai cinque anni successivi.

  

L’assenza di meritevolezza del fine non conosce limiti di tempo

L’istituto del vincolo di destinazione è piuttosto giovane essendo stato introdotto l’articolo 2645-ter nel codice civile solo nel 2005. Aggiungiamo che, a differenza del fondo patrimoniale, questo istituto non ha ancora trovato larga diffusione: con ciò per dire che anche il contributo della giurisprudenza è ancora scarso.

L’aspetto più controverso è quale sia il fine meritevole di tutela, facendo sin d’ora presente che in linea di principio è il notaio rogante l’atto pubblico che dovrebbe valutare la meritevolezza. Va da sé che i notai sono restii a prendersi questa bega. Sul punto occorre comunque segnalare che il notariato (comprensibilmente) ha provveduto a smarcarsi chiarendo che è l’istitutore del vincolo che si assume ogni responsabilità circa la meritevolezza del vincolo e al notaio compete solo, assumendosene la responsabilità, verificare che il fine non sia contrario alla legge.

Ciò detto, in dottrina si contrappongono tesi di ogni tipo circa la meritevolezza:

  • Dagli oltranzisti che affermano che il fine deve essere assolutamente solidaristico e di carattere macro-sociale (dare rifugio ai perseguitati politici, contribuire alla salvaguardia del patrimonio culturale, etc.), e dunque se così non è l’atto di costituzione del vincolo è nullo;
  • Ad altri assai più permissivi (se la persona beneficiaria trae vantaggio dal vincolo allora la finalità è soddisfatta).

 

Saremmo del parere che in medio stat virtus, e che il fine deve tradursi in una concreta utilità per la individuata persona, deve soddisfare una esigenza reale che deriva da una oggettiva criticità e non deve trattarsi di una esigenza futile. Non dimentichiamoci che con il vincolo sull’immobile il disponente si spossessa di un proprio bene, indubbiamente impoverendosi, dunque questo sacrificio deve essere proporzionato al fine. Non dimentichiamoci altresì che con il vincolo si blinda l’immobile e si riducono in prospettiva le prerogative dei debitori del disponente che non potranno soddisfarsi su quel bene.

Dunque la finalità debole, rende debole la difesa in giudizio, laddove il disponente intenda contrastare l’aggressione dei creditori nei confronti del bene su cui è iscritto il vincolo.

 

La destinazione al fine deve essere effettiva

Un altro aspetto meritevole di attenta considerazione è quello delle oggettiva destinazione al fine del bene vincolato ad evitare che i creditori del disponente eccepiscano la simulazione del negozio di vincolo.

Facciamo un esempio.

Una persona possiede un locale adibito a piccolo teatro che destina alla associazione culturale “Amici della musica” della quale peraltro la propria figlia è assidua frequentatrice essendo iscritta al conservatorio. La finalità del vincolo è quella di destinare l’immobile alla promozione della musica e del canto tramite prove, concerti amatoriali e gare canore amatoriali. Apposto sull’immobile il vincolo finalizzato a tale fine e trascritto il tutto alla conservatoria dei registri immobiliari, i creditori di tale benemerita persona scoprono che all’interno di detto locale non si svolge affatto l’attività indicata nel vincolo, ma il locale è stato affittato ad una srl che vi svolge una attività commerciale di piano bar.

E’ evidente che la finalità del vincolo è stata tradita e i creditori chiederanno venga dichiarato che il negozio di costituzione del vincolo è simulato. 

 

La giurisprudenza circa la meritevolezza

Come cappello, prima di entrare nel merito del titolo di questo paragrafo, va detto che si sta consolidando la tesi che la persona che crea il vincolo su un immobile non può crearlo a favore di sé stesso: il vincolo “autoimposto” o “autodichiarato” sarebbe carente della terzietà, elemento questo invece indispensabile per connotare la meritevolezza del fine che richiede la nobiltà del proposito che solo l’altruità può garantire. In questo senso la maggior parte delle sentenze di merito.

Ciò detto passiamo all’analisi dei fini meritevoli o meno.

La scarsa giurisprudenza di merito può essere comunque utile a riconoscere questi principi.

Partiamo con le pronunce che hanno bocciato il vincolo.

Il tribunale di Reggio Emilia con sentenza n.  399/2015 ha ritenuto non opponibile ai creditori del disponente che aveva vincolato un immobile finalizzandolo al “soddisfacimento delle esigenze abitative ed in genere ai bisogni del nucleo familiare”, individuando il termine finale al momento del compimento del quarantesimo anno di età della figlia. Ebbene, il giudice ha ritenuto vago e non sufficientemente enunciato il fine del vincolo facendo presente che una abitazione è del tutto ovvio che sia volta al soddisfacimento del bisogno abitativo della famiglia e proprio per questo occorre chiarire quale sia la concreta esigenza del conferente che peraltro ha fissato il vincolo al raggiungimento dei 40 anni della figlia; quest’ultima circostanza posto che il raggiungimento dell’autonomia si raggiunge ben prima dei 40 anni fa ragionevolmente supporre che il vincolo sia stato apposto solo per evitare l’aggressione dei creditori e (aggiungiamo noi) e far sì che il debito nel tempo si prescriva.  

Pollice verso anche per quel contribuente che per sottrarsi nei confronti di Equitalia al pagamento di un debito fiscale di importo superiore a 50.000 euro (dunque siamo nel penale in base all’articolo 11 del D.Lgs, n. 74/2000) ha apposto un vincolo trentennale su alcune automobili. Ecco il passaggio della sentenza che commenta il precedente grado di giudizio, anch’esso sfavorevole al contribuente “Il Tribunale, inoltre, ha evidenziato anche la finalità elusiva del negozio perfezionato dai ricorrenti, richiamando al riguardo gli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza, e l’evidenza dello scopo fraudolento insito nella apposizione di un vincolo di durata trentennale anche su beni mobili soggetti ad obsolescenza e degrado, quali le automobili.”.

 

Ora le buone notizie.

 

Il Tribunale di Reggio Emilia con sentenza n. 299/2015 ha ritenuto accettabile che il padre facente parte di una coppia divorziata, in sede di separazione, in luogo dell’assegno da corrispondersi all’ex coniuge per il mantenimento dei figli, abbia apposto un vincolo a loro favore per l’utilizzo del medesimo e dei suoi frutti. Il giudice ha ritenuto che i figli in questo modo erano maggiormente garantiti rispetto alla corresponsione dell’assegno.

 

 

I vincoli che dovrebbero reggere

Tanto doverosamente rappresentato, le principali ipotesi di valido utilizzo del vincolo di destinazione, in concreto, sono sintetizzabili, seppure grossolanamente, nei seguenti casi che non sono riferiti alla tutela della “famiglia” (per quella basta e avanza il fondo patrimoniale) in quanto posti in essere al di fuori del matrimonio o dell’unione civile tra persone dello stesso sesso:

  • tutela di uno dei partner deboli economicamente nell’ambito della coppia di fatto (al di fuori del matrimonio e della  unione civile);
  • tutela del badante che ha assistito a lungo una persona bisognosa di assistenza e che alla morte dell’assistito avrebbe rilevanti difficoltà economiche;
  • tutela di un parente prossimo a scarso reddito non coniugato;
  • tutela di una nipote (o simili) che vive in una famiglia a scarso reddito che non è in grado di garantirgli un adeguato percorso di studi;
  • tutela del figlio portatore di handicap.

 

Alla vostra fantasia individuare altri fini meritevoli di tutela, sottolineando nuovamente alla luce dell’esperienza sul punto che, affinché il vincolo di destinazione regga alle censure del giudice (quando i creditori tenteranno di disconoscere l’efficacia del vincolo) occorre che:

  • l’interesse sia meritevole;

  • lo scopo perseguito attraverso l’atto di destinazione, da indicarsi nell’atto notarile, deve essere puntuale, specifico e manifesto, oltre che, ovviamente, lecito.
  • i mezzi destinati allo scopo dovranno essere congrui rispetto all’interesse perseguito.

 

  E ora, buon vincolo a tutti!

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi