Ritenute subite dal professionista e non versate dal cliente, la soluzione

Il tema delle ritenute Irpef subite dal professionista a seguito del pagamento delle proprie parcelle, rischia di diventare davvero un paradosso tutto italiano. Senza voler essere troppo tecnici, la normativa fiscale è chiara: quando il professionista si rapporta ad un soggetto che può assumere la figura di “sostituto d’imposta”, nell’emettere la propria fattura deve aspettarsi

Il tema delle ritenute Irpef subite dal professionista a seguito del pagamento delle proprie parcelle, rischia di diventare davvero un paradosso tutto italiano. Senza voler essere troppo tecnici, la normativa fiscale è chiara: quando il professionista si rapporta ad un soggetto che può assumere la figura di “sostituto d’imposta”, nell’emettere la propria fattura deve aspettarsi che chi paga operi la ritenuta d’acconto del 20%.

Il sostituto paga al professionista la parcella, trattiene la ritenuta e poi provvede (o almeno dovrebbe provvedere) a versare la ritenuta in questione nelle casse dell’erario mediante modello F24, codice 1040. In questo modo il professionista, di fatto, anticipa le proprie imposte in rapporto ai compensi fatturati, andando poi in dichiarazione laddove, da un lato dichiara l’ammontare lordo dei compensi incassati e, dall’altro, si scomputa le ritenute Irpef subite.

In funzione delle sue aliquote Irpef marginali, delle sue deduzioni dall’imponibile e detrazioni Irpef, nonché dei costi dell’attività e di eventuali altri redditi, oltre che di crediti d’imposta di vario genere, il professionista nel liquidare la propria dichiarazione potrà essere chiamato a integrare le imposte da versare o al contrario, proprio in funzione delle ritenute subite, potrebbe ritrovarsi in una posizione di credito fiscale.

Tradotto in termini pratici ed escludendo dall’esempio i contributi alla cassa e l’IVA, il meccanismo appena descritto è il seguente:

  • se il professionista ha pattuito un compenso di 1.000,00 euro, indicherà tale importo lordo in fattura e sarà pagato dal committente/sostituto d’imposta per l’importo di 800,00 euro.
  • Il sostituto, infatti, è tenuto a trattenere l’importo di 200,00 euro di ritenute, che poi provvede (o come detto, almeno dovrebbe provvedere) a versare all’erario.

Solo in sede di dichiarazione il professionista indicherà l’ammontare lordo dei compensi (pari a 1.000,00) determinerà il suo reddito totale (ipotizziamo sempre 1.000,00 in assenza di costi deducibili), calcola le imposte (si pensi al primo scaglione, con aliquota al 23%) nella misura di 230,00 euro, scomputa la ritenuta di 200,00 euro e si ritrova a debito di 30,00 euro, da versare a saldo in sede di dichiarazione. Quest’anno, peraltro la data di versamento slitta dal 16 giungo al 30 giugno, ovvero al 31 luglio con la maggiorazione dell’0,40%, fermo restando la possibilità di rateizzare

Tutto molto semplice, se non fosse per una serie di problematiche.

La prima riguarda la documentazione in forza della quale il professionista può scomputare la ritenuta subita. In merito soccorre, o almeno era risolutiva in passato, la risoluzione 68/E del 19 marzo 2009 emanata dall’Agenzia delle Entrate, laddove è stato chiarito che l’espressione “certificazioni richieste ai contribuenti”, presente nell’articolo 36-ter del Dpr 600/1973, non si riferisce alle sole certificazioni rilasciate dai sostituti di imposta, ma deve avere interpretazione più ampia. In particolare, il contribuente secondo l’Agenzia può fornire la dimostrazione delle ritenute subite e non certificate dal sostituto, se l’Agenzia eccepisce che dal modello 770 del sostituto non rinviene il versamento, con l’esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione di incasso (ad esempio, documentazione bancaria, quale assegno o bonifico), dimostrando così l’importo del compenso effettivamente percepito, al netto della ritenuta. Inoltre, il professionista deve presentare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui attesta che la documentazione attestante l’incasso si riferisce alla corrispondente fattura regolarmente contabilizzata e, dunque, portata a reddito.

In base a detta risoluzione, dunque, sembra (o almeno sembrava) essere risolto il primo problema: la mancata ricezione, da parte del professionista, della certificazione delle ritenute (CU, il cui termine per la trasmissione telematica all’agenzia scade, per le ritenute operate nel 2016, il 7 marzo prossimo). Il professionista deve attendere le certificazioni che dovrebbero essere fatte pervenute dai sostituti d’imposta entro il 31 marzo 2017 (termine così slittato rispetto al 28 febbraio previsto lo scorso anno), ma in caso di assenza delle stesse, una volta riscontrato di aver incassato effettivamente il compenso al netto della ritenuta (nell’esempio dapprima proposto, bisogna verificare che sul conto corrente è stato bonificato l’importo di 800,00 euro), in sede di dichiarazione potrà procedere allo scomputo, ricordandosi che in caso di controllo deve documentare al fisco di aver effettivamente introitato l’importo netto.

 

Gli aspetti critici

In primo luogo va detto che le ritenute subite dai professionisti costituiscono un esempio lampante di disparità di trattamento: al momento dell’incasso della fattura il professionista subisce la ritenuta, anticipando dunque l’effetto a beneficio dello Stato, il quale introita subito detta ritenuta (per effetto del versamento effettuato dal sostituto d’imposta entro il giorno 16 del mese successivo) che solo a distanza di tempo, in sede di dichiarazione dei redditi, saranno (forse) riconosciute al contribuente. Perché non si fanno ritenute agli idraulici, agli elettricisti, ai taxisti, agli imbianchini? Tanto per citare lavori in cui prevale l’impiego personale del titolare?

Al di là di ciò, quel che è molto più grave, s’innesta a dispregio della illuminata posizione interpretativa dell’Agenzia delle entrate di cui alla citata risoluzione n. 68/2009, l’incredibile posizione della giurisprudenza di legittimità la quale in più di una occasione ha, in modo del tutto illogico, smentito l’Agenzia, ritenendo presente nel sistema appena descritto una responsabilità in solido del professionista per le ritenute eventualmente non versate dal sostituto. Dunque, non esiste risoluzione n. 68 del 2009 che tenga: se il sostituto non ha versato la ritenuta, bisogna solo votarsi al santo protettore e sperare che l’ufficio competente, comprendendo che di fatto il professionista non ha alcuna colpa, non intenda attaccarlo. Sul punto peraltro bisogna essere chiari: assodato il principio (non sancito da una disposizione ma deciso dai giudici) della responsabilità in solido, addirittura vi potrebbe essere qualche funzionario sin troppo solerte che in assenza di una “ritenuta abbinata” al nominativo del professionista decida direttamente di accertare quest’ultimo. Invero, l’auspicio è che almeno un tentativo nei confronti del sostituto sia effettuato e si vuole immaginare che l’ufficio di turno solo dopo aver appurato una evidente difficoltà a rintracciare il sostituto (come nel caso di  un’azienda fallita, ad esempio), decida di procedere contro il professionista malcapitato.

Detto questo, nel momento in cui si procede contro il professionista,  si verifica il paradosso evocato in introduzione: secondo i giudici della Corte di Cassazione, è pacifico che il professionista sia responsabile in solido per le ritenute non versate dal suo cliente. Ciò in quanto dette ritenute, di fatto, rappresentano un’anticipazione delle imposte del professionista e dunque è “giusto”(!) che sia il professionista ad essere aggredito dal fisco. Certamente il professionista potrà poi rivalersi civilisticamente sul sostituto per farsi rimborsare le ritenute (auto)versate: come se fosse facile rintracciare un soggetto che addirittura è ritenuto non aggredibile dall’amministrazione finanziaria. Per sgombrare il campo da equivoci e ribadire che non si tratta di uno scherzo, è bene riferire della recente sentenza della Corte di Cassazione, sezione Penale, n. 2256 del 2017, che non solo ha confermato tale interpretazione, ma ha addirittura aggiunto che ai fini del superamento delle soglie di evasione rilevanti penalmente, bisogna considerare anche le ritenute non versate dal sostituto, rispetto al quale il professionista è responsabile in solido.

Permetteteci un commento lapidario: trattasi di assoluta follia! Un’autentica farneticazione!

E’ un’aberrazione accertativa ricorrente negli uffici dell’amministrazione finanziaria e avallata da una giurisprudenza che si limita ad una interpretazione letterale e formalistica dell’attuale sistema.

 

La soluzione

Abbiamo però la soluzione: premettendo l’auspicio che in tempi arrivi una norma chiara di interpretazione autentica che consenta di superare il problema (come peraltro più volte richiesto da Confprofessioni), magari accompagnata da una illuminata relazione governativa che segnali la palese ingiustizia, incoerenza, contraddittorietà, iniquità (vi viene in mente altro?) della attuale situazione createsi per merito della Suprema Corte, la situazione si può sboccare in questo modo.

Si organizzi un convegno con gli eminentissimi signori giudici della Corte di Cassazione; si eroghi loro un ordinario compenso occasionale per la partecipazione; si operi la ritenuta Irpef del 20% e poi si provveda sadicamente a non versare la medesima e sparire per sempre; si segnali la questione all’Ufficio dell’agenzia delle entrate competente per territorio suggerendo di monitorare con attenzione il breve viaggio della ritenuta, precocemente conclusosi senza giungere in F24.

Si attenda con fiducia che la giustizia faccia il suo corso!

Si prenda atto con somma soddisfazione e palese sollievo dal bollettino trimestrale del massimario della Cassazione nel quale emerge con chiarezza il cambio di rotta della suprema Corte. Subito confermato dall’attesa sentenza a sezioni unite del massimo collegio.

La giustizia ha fatto il suo corso.

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi