Ritenute subite dal professionista e non versate dal cliente

Spunti per la difesa contenziosa in attesa di un atto di giustizia   Correva il mese di febbraio dell’anno 2017. Su questo sito i sottoscritti svolgevano alcune riflessioni sulla incredibile vicenda delle ritenute subite dai professionisti e non versate dai relativi clienti. Concludevamo con osservazioni (critiche) e la speranza che da lì a breve qualche

Spunti per la difesa contenziosa in attesa di un atto di giustizia

 

Correva il mese di febbraio dell’anno 2017.

Su questo sito i sottoscritti svolgevano alcune riflessioni sulla incredibile vicenda delle ritenute subite dai professionisti e non versate dai relativi clienti. Concludevamo con osservazioni (critiche) e la speranza che da lì a breve qualche cosa cambiasse nella impostazione dell’intera triste vicenda.

Ebbene, dispiace continuare ad assistere ad accertamenti dell’Agenzia delle entrate a danno di professionisti che si basano sulla ripresa a tassazione delle ritenute d’acconto Irpef, da questi subite, ad opera dei committenti che non hanno poi provveduto a versare gli importi loro trattenuti.

 

Nonostante la chiara Circolare n. 68/2009 dell’Agenzia delle entrate che ebbe a rappresentare un atto di civiltà, correttezza e disgelo nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti, spesso (fortunatamente non sempre) gli uffici continuato con questo atteggiamento palesemente vessatorio.

E dire che l’allora direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera, nel presentare al congresso Nazionale dei dottori commercialisti la predetta circolare n. 68/2009, tra il plauso di tutti gli intervenuti, la enfatizzò come un atto dovuto nel segno della correttezza e buona fede in conformità dei principi sanciti dallo Statuto del contribuente, chiedendo che gli fosse dato atto del segnale di distensione degli animi in un contesto in cui i professionisti eccepivano un costante atteggiamento palesemente pretestuoso e talvolta arrogante degli organi verificatori.

Si trattò di un primo rilevante passo in avanti.

 

Il secondo passo altrettanto importante fu fatto con la lettera che il 5 maggio 2011, prot. n. 65230 che lo Stesso Befera indirizzò ai propri uffici avente ad oggetto: Correttezza ed efficienza nell’azione di controllo e in quella di servizio.  È sufficiente questo passaggio per riassumere efficacemente i meritori contenuti della missiva: «Continuo però a ricevere segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a rivolgermi direttamente a tutti voi per richiamare ognuno alle proprie responsabilità e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta. E non è tale quando esprime arroganza o sopruso o, comunque, comportamenti non ammissibili nell’ottica di una corretta e civile dialettica tra le parti».

 

Ebbene, tanto mestamente e inutilmente premesso, la questione della ripresa a tassazione delle ritenute subite dai professionisti laddove non versate dai committenti è fin troppo nota:

  • Alcune sentenze della Corte di Cassazione (n. 1433 del 16/6/2006; n. 86313 del 7/4/2009; n. 12076 del 13/6/2016; n. 9933 del 14/6/2015; Sezione penale n. 2256/2017) hanno stabilito la corresponsabilità e solidarietà tra professionista e cliente (del tipo, cornuto e mazziato);
  • altre sentenze della Corte di Cassazione (n. 3725 del 3/7/1979; n. 7251 del 4/8/1994; n. 3304 del 19/2/2004; n. 12072 del 14/5/2008; n. 18374 del 5/9/2014; n. 14138 del 7/6/2017; n. 18910 del 17/7/2018) hanno stabilito la non possibilità da parte dell’amministrazione finanziaria di pretendere dal professionista il pagamento dell’imposta  corrispondente alla ritenuta subita e non versata dal committente.

Quel che è più aberrante è che la predetta sentenza n. 2256/2017 della Sezione penale ha condannato il professionista perché le ritenute subite e non versate dal proprio cliente superavano il limite per il reato penale. Questo in nome della inventata solidarietà tra professionista e cliente. Quindi non solo la beffa di dover pagare due volte: una prima volta avendo subito la ritenuta e una seconda volta nel dovere corrispondere all’erario una somma corrispondente (aumentata di sanzioni e interessi), ma anche la galera!

 

È veramente troppo ed è vergognoso!

L’affermato principio della solidarietà tra sostituto d’imposta e sostituito non è rinvenibile in alcuna normativa ed è frutto di una fantasiosa corrente giurisprudenziale la quale ha affermato che il professionista (nella maggior parte dei casi si tratta infatti di lavoratore autonomo), resta responsabile con il committente se questo non versa la ritenuta pur subita. Si tratta come evidente di un obbrobrio che comporta una doppia tassazione a carico del professionista che si vede prima trattenuta la somma corrispondente alla ritenuta con conseguente impoverimento e poi obbligato a versarla maggiorata peraltro di sanzioni e interessi.

Occorre sottolineare che questa improbabile giurisprudenza, peraltro del massimo grado di giudizio, non ha preso un abbaglio confondendo una norma per un’altra, ma è proprio convinta di quello che afferma: infatti, non ci si può confondere con l’articolo 35 del DPR n. 602/1973, rubricato “Solidarietà del sostituto d’imposta” il quale afferma una cosa comprensibile e del tutto razionale: “Quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, soprattasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né ritenute a titolo d’imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido.”.  È chiaro, perché è espressamente indicato, che la solidarietà scatta solo se la ritenuta (non versata) non è stata operata, come avrebbe dovuto, dal sostituto.

 

Ma la solidarietà in caso di ritenute regolarmente operate dal sostituto è frutto di una mera invenzione.

D’altronde quando il legislatore ha inteso prevedere una solidarietà tra le parti lo ha previsto espressamente, come ad esempio, in materia di imposta di registro: articolo 57 del DPR n. 131 rubricati “Soggetti obbligati al pagamento” – Oltre ai pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti…”.

O ancora, in materia di sanzioni per inadempimento da reverse charge Iva, il comma 9-bis.1 dell’articolo 6 del D. Lgs. n. 471/1997 dispone che al pagamento delle sanzioni cui è tenuto il committente o cessionario è anche solidalmente tenuto il cedente o prestatore”.

Proseguiamo con l’Iva in ipotesi di frode: articolo 60-bis del DPR n. 633/1972 rubricato “Solidarietà nel pagamento dell’imposta: In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate e prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto ad adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta”.

 

La recente Cassazione

Fortuna vuole che la Cassazione maggioritaria e recente ha dato ragione al professionista: valga per tutte la recentissima sentenza 17 luglio 2018, n. 18910 la quale preliminarmente osserva che l’articolo 22 del Tuir, rubricato “Scomputo degli acconti” dispone che “1. Dall’imposta determinata a norma dei precedenti articoli si scomputano nell’ordine: …(omissis) …c) le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente.”.

Ciò detto, la suprema Corte rileva come “La norma, attualmente vigente, dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state «operate» (art. 22 d.P.R. 917/1986). Rileva, quindi, (prosegue la Corte), un fatto storico (decurtazione del corrispettivo), che, seppur viene provato tipicamente mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere provato con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito.  Significativo appare che la stessa Agenzia delle entrate si sia infine determinata a consentire lo scomputo delle ritenute non certificate, ove il contribuente ne dia prova equivalente al certificato (risoluzione 19 marzo 2009, n. 68/E). La norma sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate, deve essere integrata secondo i principi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici «possono» escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art. 36-ter d.P.R. 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) «possono» apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti” (Cass. sent. n. 14138/2017).

Ebbene, rintracciata la Sentenza 07 giugno 2017, n. 14138 citata dalla predetta recente Cassazione, apprendiamo che “La norma sul controllo formale delle dichiarazioni usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate deve essere integrata secondo i princìpi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici «possono» escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art. 36-ter d.P.R. 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) «possono» apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti. L’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la certificazione attestante le ritenute operate non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cass. 4 agosto 1994, n. 7251).

 

La Suprema Corte non entra neanche nel merito della fantasiosa pretesa che vi sia una solidarietà tra professionista e cliente e che la ritenuta subita e non versata dal cliente debba essere (nuovamente) versata dal professionista. Mentre è chiarissimo il passaggio della Sentenza dove afferma “Rileva, quindi, un fatto storico (decurtazione del corrispettivo)”.

Il fatto che la ritenuta sia stata subita, dunque, basta e avanza per garantire al professionista lo scomputo della medesima!

Ma ciò non basta a convincere gli Uffici!

 

Quando la giurisprudenza della Suprema Corte diventerà univoca nel senso di riconoscere le giuste ragioni del professionista, rimarrà la vergogna di coloro i quali sono stati costretti a pagare doppio e anche il triplo considerando sanzioni e interessi.

Quando finalmente succederà, perché succederà, questo è sicuro, nel giro di un giorno tutto passerà nel dimenticatoio e ci si concentrerà sugli altri pressanti problemi che nel frattempo la macchina burocratica avrà messo a cuocere (altri accertamenti meritati o immeritati, altre imposte sacrosante o vessatorie che siano).

Come nel famoso film “The Truman Show” in cui il protagonista, dopo una disperata fuga in barca, giunto semi morto alla fine dell’isola palcoscenico e posto di fronte alla scelta tra tornare indietro o andare incontro alla propria vita, con un inchino esce di scena dicendo “Buon giorno e caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”.

E tutti, semplicemente, cambiarono canale.

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi