Occhio alle consulenze telefoniche

Il professionista deve porre estrema attenzione a quel che dice, non sussistendo il segreto professionale se è coinvolto in prima persona. La tematica delle intercettazioni telefoniche è senza dubbio delicata e in un consesso come il presente, ossia di una rubrica dedicata agli aspetti fiscali del mondo professionale, può apparire fuori tema, tant’è che non

Il professionista deve porre estrema attenzione a quel che dice, non sussistendo il segreto professionale se è coinvolto in prima persona.

La tematica delle intercettazioni telefoniche è senza dubbio delicata e in un consesso come il presente, ossia di una rubrica dedicata agli aspetti fiscali del mondo professionale, può apparire fuori tema, tant’è che non si intende minimamente analizzarla sul piano tecnico legale.

Lo spunto per trarne validi suggerimenti, però, giunge proprio da una vicenda di carattere fiscale, sfociata in una contestazione di reato penale, che ha visto coinvolti tra l’altro il professionista commercialista reo di suggerire comportamenti e azioni finalizzate all’evasione fiscale e alla sottrazione dei patrimoni alla riscossione erariale.

Peraltro, trattasi di argomento che sostanzialmente è da leggere in stretta connessione con il contributo dello scorso mese, dove in maniera più o meno ironica si sono evidenziati alcuni aspetti circa l’ottenimento di “illusori” risparmi fiscali da “inseguire” in sede di dichiarazione dei redditi, che se realizzati con tecniche e scorciatoie truffaldine portano solo a comportamenti illeciti che possono originare conseguenze notevolmente spiacevoli (si rinvia al numero del mese di giugno per ogni considerazione in merito). Giusto a titolo di promemoria, si pensi alle ipotesi analizzate in riferimento all’utilizzo di fantomatiche “prestazioni lavorative” da parte di familiari con partita IVA nel regime forfettario, ovvero all’acquisto di un immobile in capo ad una persona con contemporanea locazione al coniuge professionista, il quale (da presunto babbeo) sostiene tutte le cospicue spese di ristrutturazione. Ebbene, si è detto che simili “strategie”, laddove intercettate dal fisco, possono essere nefaste, trattandosi del classico “castello di carta” destinato a crollare a velocità della luce, potendosi avere contestazioni rilevanti circa l’utilizzo di false fatture (nel caso delle prestazioni “ad hoc” dei familiari) o il ricorso a dichiarazioni fraudolente mediante altri artifizi (come nella spropositata ristrutturazione dell’immobile in locazione). 

Ebbene, la sentenza della Corte di Cassazione n. 14007 del 2018 offre lo spunto per due riflessioni:

  1. La prima in ordine alla necessità dell’adeguata programmazione fiscale, con allontanamento di idee malsane, sia se generate da “chiacchiere da bar” (come nella classica ipotesi dell’amico che suggerisce mirabili ed ardimentose soluzioni di escatologia fiscale), sia se addirittura suggerite dal cattivo consulente di turno (caso ancor più grave, in quanto provenienti da colui che invero dovrebbe saper correttamente applicare le disposizioni fiscali), preferendo invece puntare sulla prevenzione, non solo per i comportamenti da assumere, ma anche per le accortezze da avere per evitare facili contestazioni.
  2. La seconda, circa la delicatezza del ruolo del professionista in generale, che non può mai spingersi ad essere l’ideatore e il pianificatore dei comportamenti illeciti perpetrati dai propri clienti, laddove, vedremo, il segreto professionale non offre alcuna copertura.

 

L’adeguata programmazione fiscale e la relativa prevenzione

Appare superfluo ripercorrere gli aspetti evidenziati nello scorso numero: non esistono “facili” scorciatoie per il risparmio fiscale. Il risparmio fiscale altro non è che il frutto della completa conoscenza e della corretta applicazione della normativa fiscale, che richiede inevitabilmente un aggiornamento continuo, non osiamo a definirlo ossessivo, accompagnato dal monitoraggio costante delle proprie azioni.

Il professionista ha numerose situazioni “particolari” da tener presente nello svolgimento dell’attività, con impatto fiscale più o meno rilevante: da quale sia la scelta più conveniente per acquisire l’immobile utilizzato dall’impresa (acquisto o leasing, con analisi dei vantaggi/svantaggi sia all’atto di acquisto sia, in futuro, all’atto di “fuoriuscita del bene”), all’ottenimento del credito d’imposta per la ricerca & sviluppo, al contesto in cui si sostengono spese di pubblicità e propaganda, dall’utilizzo di collaboratori con partita IVA alla partecipazione ad uno studio associato o ancora alla costituzione di una STP con relativa scelta della forma sociale ottimale per la medesima). Tutti questi aspetti richiedono una consulenza in tempo reale e programmatica, con capacità di analisi a 360 gradi, che di certo non può essere eseguita “a tempo scaduto”, ossia in sede di dichiarazione, dovendo essere costante nel corso dell’anno fiscale.

La consulenza richiesta, inoltre, deve essere in grado non solo di programmare le scelte, ma anche di far assumere gli atteggiamenti migliori per prevenire eventuali contestazioni. Ad esempio, il mondo professionale è caratterizzato dal principio di cassa e dall’effettuazione della ritenuta da parte dei clienti titolari di partita IVA: onde evitare “spiacevoli sorprese”, è il caso di attrezzarsi nel miglior modo possibile sia per l’idonea documentazione dell’avvenuto pagamento “netto”, sia per l’ottenimento, da parte del cliente, degli elementi probatori che attestano l’avvenuto versamento della ritenuta, ad integrazione della futura certificazione che dovrà essere fatta pervenire dal cliente: va detto che un simile virtuosismo non è imposto dalla legge, ma in considerazione delle frequenti contestazioni in capo ai “sostituiti” (ossia coloro che subiscono le ritenute), di una responsabilità solidale verso i clienti che omettono di versare le ritenute (della serie: cornuti e mazziati), “perseguitare” il sostituto per ottenere la prova dell’avvenuto versamento, soprattutto se trattasi di clienti poco conosciuti, è sicuramente un atteggiamento da non tralasciare. Ancora, si pensi alle indagini finanziarie, che sul lato dei versamenti comunque rimangono pressanti nei confronti dei professionisti. Ebbene, pur se una sorta di “riconciliazione” dei versamenti rispetto agli incassi non è dovuta non essendo prevista sul piano legislativo, è preferibile avere traccia completa degli accadimenti, con ricongiunzione degli importi soprattutto nel caso di incassi in contanti (che sarebbe bene evitare).

È il caso, ad esempio, dei medici, che magari incassano 500 euro al giorno. Programmare un versamento periodico del contante (magari una volta a settimana), con evidenziazione degli importi trattenuti nella sfera personale o spesi per l’attività, è di sicuro grande aiuto nel caso di un controllo futuro.

Il tutto avendo la migliore valutazione possibile delle implicazioni dichiarative, non puntando mai all’inutile illusorio obiettivo “del pagare meno imposte”. Indicare in dichiarazione scarsi redditi e al contempo, ad esempio, riempire il quadro RP degli oneri deducibili e detraibili di spese di ogni genere, reca due informazioni nefaste:

1) in primo luogo i redditi sono bassi e potenzialmente accertabili con il redditometro o con altre tecniche di controllo utilizzate dall’amministrazione finanziaria;

2) in secondo luogo e in stretta connessione, proprio le predette spese del quadro RP dimostrano una capacità finanziaria che deve trovare giustificazione altrove, essendo legittimo il controllo (redditometrico o di altro genere):

Resta ferma ovviamente, la piena possibilità difensiva. Ma è evidente che prevenire è meglio che curare e tutto transita per un adeguato dialogo con gli organi di controllo e con un altrettanto adeguato consulente.

 

Il ruolo del professionista

In sede di dichiarazione, ai consulenti fiscali arrivano richieste di ogni genere: alcune assolutamente inaccettabili. Senza tanti giri di parole, il consulente deve applicare e interpretare la normativa di riferimento, ma non deve assolutamente inventare e/o pianificare comportamenti di sorta finalizzati all’evasione del proprio cliente.

Tale principio è, peraltro, facilmente generalizzabile a qualsiasi professione che si basa su aspetti giuridici. Il professionista può anche essere oggetto di richieste non lecite, ma non solo non deve metterle in atto, bensì nemmeno avallarle, perfezionarle, pianificarle ed aiutare ad eseguile. È il discrimine netto che consente al professionista di evitare grossi guai. Nulla vieta che nell’esercizio della professione si venga a conoscenza di “segreti” del proprio cliente anche illeciti, ma bisogna esserne del tutto estranei per non avere coinvolgimenti sanzionatori.

 

Le intercettazioni telefoniche

Un importante insegnamento in questa direzione arriva dalla richiamata sentenza della corte di cassazione n. 14007 del 2018, che affronta il delicato tema delle intercettazioni telefoniche. Senza alcuna pretesa di sviscerare la problematica, ai fini che quivi interessano è utile richiamare i fatti e la relativa decisione dei Supremi Giudici. La Corte Suprema, in particolare, ha sancito la responsabilità penale del professionista che ha contribuito alla pianificazione, nonché alla realizzazione di una fattispecie criminosa tesa ad eludere il Fisco ed ha legittimato l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali che mirano a dimostrare la condotta fraudolenta posta in essere dal professionista. Il caso riguarda un dottore commercialista il quale, così come è risultato dalle intercettazioni a suo carico, suggeriva escamotage ai suoi clienti per sottrarsi al pagamento delle imposte sul reddito. Ma lo stesso può dirsi per qualsiasi professionista che suggerisce, nel settore di propria competenza, escamotage penalmente rilevanti.

In linea difensiva, tra gli altri motivi, il contribuente eccepiva che le prove acquisite a suo carico a sostegno della tesi accusatoria erano frutto delle intercettazioni telefoniche realizzate sull’utenza del suo commercialista, in violazione del divieto sancito dal codice di procedura penale all’articolo 271 comma 1 e 2 (il comma 2, in particolare, vieta l’utilizzo delle intercettazioni riguardanti argomenti rientranti nel segreto professionale). La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, affermando chiaramente che: “sebbene l’articolo 271 c.p.p., comma 2, preveda espressamente, fra i divieti di utilizzazione, quello concernente le intercettazioni relative alle conversazioni o comunicazioni delle persone di cui all’articolo 200 c.p.p., comma 1, quando esse hanno ad oggetto fatti da loro conosciuti in ragione, per quanto ora interessa, della loro professione, siffatta disposizione deve essere intesa, conformemente alle condivise indicazioni interpretative rivenienti da questa Corte, nel senso che il divieto in questione e’ posto a tutela dei soggetti indicati nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e dell’esercizio della loro funzione professionale, ancorché non formalizzato in un mandato fiduciario, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un libero professionista venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto dal quale non sia stato formalmente incaricato di alcun mandato professionale. Ne consegue che detto divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all’attività professionale svolta dai soggetti indicati nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata (Corte di Cassazione, Sezione 5 penale, 19 aprile 2013, n. 17979); come, infatti, la Corte ha ulteriormente precisato, in materia di intercettazioni, il divieto di utilizzazione stabilito dall’articolo 271 c.p.p., comma 2, non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all’attività professionale svolta dalle persone indicate nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata (Corte di Cassazione, Sezione 6 penale, 5 maggio 2015, n. 18638; idem Sezione 6 penale, 18 gennaio 2008, n. 2951)”.

Il discrimine evidente è pertanto rappresentato dal contenuto dell’intercettazione:

  • se lo stesso attiene all’attività professionale, trattandosi di informazioni di cui il consulente è venuto a conoscenza da parte del proprio cliente, pur magari riguardando comportamenti illeciti, non può aversi il relativo utilizzo probatorio;
  • se invece trattasi di conversazioni non pertinenti l’attività (come nel caso della pianificazione del comportamento illecito), allora evidentemente non sussiste il segreto professionale.

 Le conclusioni della Corte di Cassazione sono ben chiare:

  • Nel caso di specie le intercettazioni eseguite, lungi dal riguardare l’attività professionale svolta dal commercialista dell’indagato e riferita alla cura degli interessi patrimoniali di quest’ultimo, avevano ad oggetto un’attività in sé illecita, tale evidentemente da esulare rispetto ai limiti dello svolgimento di una incarico professionale, il quale presuppone, ove non si voglia cadere nell’insanabile contraddizione logica di ritenere tutelato dall’ordinamento lo svolgimento di un’attività criminosa, la piena liceità della condotta tenuta”;
  • “Poiché, invece, nel caso che interessa, i contenuti delle intercettazioni in questione erano afferenti alle indicazioni fornite dal (OMISSIS) al (OMISSIS) sulle modalità di perpetrazione del delitto in provvisoria contestazione, è di tutta evidenza come esse, essendo indubbiamente esuberanti rispetto al corretto esercizio di un incarico professionale o, comunque, esulando rispetto ai limiti della lecita attività professionale, non possano essere protette dalle guarentigie di cui all’articolo 271 c.p.p., comma 2”.

Morale della favola, occhio alle telefonate, ma ancor prima, occhio a come vi comportate.

Rimanendo sul piano fiscale, il cliente può anche lamentarsi che paga troppe imposte e che vuole inventarsi qualche escamotage, ma il professionista deve semplicemente rispondere che trattasi di “iniziative improbabili” e che non possono essere recepite nelle scritture contabili e in dichiarazione. Guai invece a prestarsi alle “intuizioni nefaste” e a suggerirle e metterle in pratica: il rischio di essere travolti è davvero grosso.

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi