Mancata tenuta delle scritture contabili. Fine di una maliziosa pessima abitudine

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 55476 depositata il 13 dicembre 2017 si è espressa, con particolare riferimento al mondo professionale, sulla configurabilità del reato di “occultamento delle scritture contabili”, giungendo a delle conclusioni davvero rilevanti. La tematica è di elevata importanza posto che è frequente procedere ad una “conservazione delle scritture contabili”

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 55476 depositata il 13 dicembre 2017 si è espressa, con particolare riferimento al mondo professionale, sulla configurabilità del reato di “occultamento delle scritture contabili”, giungendo a delle conclusioni davvero rilevanti.

La tematica è di elevata importanza posto che è frequente procedere ad una “conservazione delle scritture contabili” alquanto artigianale, non prestando attenzione alle grave implicazioni fiscali che possono derivarne.

Il reato di “occultamento delle scritture contabili” si configura quando il contribuente non conserva nelle sue sedi di svolgimento dell’attività, o in alternativa presso il commercialista, la contabilità e i documenti fiscali, impedendo così agli organi verificatori dell’amministrazione finanziaria di procedere alle ordinarie azioni di controllo e, dunque, di verificare e ricostruire il volume d’affari. Secondo la Suprema Corte, i documenti contabili non possono essere tenuti in altro luogo (come nel caso dei professionisti, presso l’abitazione) e la punibilità non viene meno neppure se detta documentazione viene consegnata in un secondo momento all’Agenzia delle entrate, ancorché nella fase endoprocedimentale di formazione dell’accertamento, dato che il momento in cui il reato si concretizza coincide con il verificarsi dell’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d’affari. La successiva produzione dei documenti, invece, è inquadrabile al più come mera attività di collaborazione efficace eventualmente solo per valutare l’intensità del dolo o la quantificazione della pena.

 

La previsione normativa

Ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (normativa di riferimento in materia di reati “tributari”), commette reato di “occultamento delle scritture contabili” chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. La sanzione prevista è la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni e trattasi di una fattispecie di elevata sensibilità per il legislatore, atteso che non è stabilita (come invece avviene in altre ipotesi) la necessità di superare specifiche soglie di evasione per la punibilità.

E’ singolare rilevare che la norma non richiama l’Irap ma, ai nostri fini, tale elemento è sostanzialmente irrilevante posto che è più che sufficiente il richiamo alle imposte sui redditi e all’Iva. 

Senza voler essere oltremodo tecnici, in estrema sintesi può evidenziarsi che le condotte rilevanti ai fini della configurazione del reato in esame possono consistere alternativamente nell’occultamento o nella distruzione, in tutto o anche in parte, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, potendosi effettuare le seguenti distinzioni di fondo:

  • Si ha occultamento laddove vi sia una condotta concreta posta a nascondere o rendere non reperibile la documentazione contabile. La Cassazione si è espressa sul punto, stabilendo che il delitto di occultamento di scritture contabili configura reato di carattere permanente, posto che perdura nel tempo posto che il contribuente ha l’obbligo di conservare ed esibire la scritture contabili e la relativa documentazione su richiesta dell’organo verificatore fino al momento in cui cessa l’obbligo di conservazione. Anche ai fini della prescrizione del reato occorre fare riferimento a tale principio;
  • Cosa diversa è la distruzione delle scritture contabili che si attua mediante l’eliminazione fisica del documento (sia esso analogico ovvero conservato su file) e che si declina anche mediante la cancellazione del contenuto del medesimo. Tale reato a a differenza del primo ha carattere istantaneo e si configura all’atto dell’eliminazione della documentazione fiscalmente rilevante. Quanto alla prescrizione, questa coincide con il termine ultimo previsto per la compilazione delle scritture contabili.

È importante evidenziare che ai fini del reato di cui si discute, la documentazione deve essere esistente ovvero deve essere stata istituita (la mancata istituzione configura solo un illecito amministrativo), non potendosi lo stesso configurare in un mero comportamento omissivo oppure nella tenuta delle scritture contabili in modo tale da rendere obiettivamente difficoltosa l’attività di controllo.

È indispensabile, pertanto, l’occultamento o la distruzione dei documenti in maniera voluta, non essendo punibili casistiche estranee alla volontà del contribuente, come le ipotesi di smarrimento, furto, incendio, etc. Sul punto, però, è bene rammentare che ai fini accertativi l’assenza delle scritture contabili, anche per causa di forza maggiore, non determina alcuna immunità, potendo l’amministrazione finanziaria utilizzare l’accertamento “induttivo” puro, ossia quello fondato su qualsiasi elemento presuntivo: ne deriva che l’eventuale furto o incendio della contabilità esclude la punibilità penale ma lascia integra la possibilità accertativa.

Peraltro, va detto che la fattispecie della distruzione fortuita delle scritture contabili (incendio, allagamento) o il furto delle stesse è evento che viene analizzato da parte dell’amministrazione finanziaria sempre con grande attenzione e aggiungeremmo, rigore, in considerazione di eventi sgradevolmente fraudolenti che si sono verificati in passato.

Quando si parla di occultamento delle scritture contabili si fa riferimento tanto alle scritture previste dalla disciplina fiscale contenuta nel DPR 600 e nel DPR n. 633/1972 quanto alle scritture contabili di carattere amministrativo, giuslavoristico e commerciale, laddove queste siano obbligatorie per legge; ciò in quanto la individuazione del reddito e del volume d’affari si basa anche su queste. Come evidente, occultare le scritture contabili senza occultare la relativa documentazione si tradurrebbe per il reo in un lavoro sufficientemente sterile e improduttivo: ebbene, l’art. 22 co. 3 del DPR 600/1973, stabilisce che occorre conservare degli “originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti nonché copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse”.

 

La posizione della Corte della Cassazione

La casistica analizzata dalla Corte di Cassazione riguarda un professionista reo di aver occultato la documentazione fiscale (fatture emesse ed altra documentazione comprovante i redditi percepiti) relativa all’attività svolta. Nel giudizio di merito, la Corte d’Appello aveva condannato il contribuente, rimarcando l’avvenuta mancata conservazione della documentazione fiscale e contabile, non presente sia presso le sedi dei suoi studi professionali che presso lo studio del commercialista, mentre erano state ritenute non rilevanti le circostanze:

  1. della possibilità di ricostruire in maniera indiretta il volume degli affari mediante la documentazione dei soggetti terzi che avevano avuto rapporti con il professionista;
  2. della successiva consegna della documentazione all’Agenzia delle Entrate, avvenuta però una volta che il reato si era già configurato.

 

Il contribuente si è difeso fino in Cassazione facendo presente che l’occultamento delle scritture e dei documenti contabili si era conclusa ancor prima che l’Agenzia delle entrate era cessata anteriormente all’attività di accertamento, posto che non si configura alcun reato laddove la predetta documentazione venga consegnata nel corso della verifica ancorché non al momento della apertura della stessa.  Quindi secondo il professionista ricorrente la consegna all’Agenzia delle entrate della documentazione prima dell’emanazione dell’accertamento aveva comunque consentito una puntuale e accurata verifica e analisi della posizione del contribuente, talchè non si poteva configurare il reato previsto dall’articolo 10 del D. Lgs. 74/2000.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso, sottolineando anzitutto il fatto non contestato che presso gli studi professionali del contribuente fosse conservata solo una parte, non esauriente della documentazione fiscale che egli avrebbe dovuto conservare obbligatoriamente. La successiva consegna della documentazione, invece, non esclude la configurazione del reato, dato che lo stesso si manifesta a decorrere dall’avvenuto occultamento, non essendo necessaria l’attivazione della procedura di accertamento tributario: tale comportamento può solo interrompere una flagranza di reato ancora in atto, potendo incidere in relazione alla intensità del dolo o, comunque, quale elemento idoneo ad essere valutato in relazione al quantum della pena da irrogare.

 

Osservazioni conclusive

L’assenza delle scritture contabili rappresenta una fattispecie di elevata delicatezza. Ai fini fiscali, ai sensi dell’articolo 39 del DPR 600/73 (e in ambito IVA ai sensi dell’articolo 55 del DPR 633/72), la mancata tenuta della contabilità e della sottostante documentazione non impedisce l’azione di accertamento, che può essere eseguita mediante il c.d. accertamento induttivo “puro”, ossia basato sulla base di qualsiasi presunzione (ad esempio anche in riferimento ai parametri professioniali). In particolare, si prescinde dalla casistica che ha causato la mancanza dei documenti, potendo l’accertamento essere espletato anche quando manca la responsabilità diretta del contribuente. Ai fini penali, invece, è necessario il comportamento omissivo dello stesso, che però si è visto può configurarsi anche in casi di non corretta conservazione delle scritture medesime.

 

Distinguendo tra la condotta frutto di mera trascuratezza, sbadataggine e pernicioso disordine, rispetto a quella derivante da una scientifica condotta truffaldina, va detto che negli ultimi anni quest’ultima si è certamente assai ridimensionata e, a decorrere dal prossimo anno diverrà probabilmente un mero ricordo. Infatti, già da tempo con lo “spesometro” le fatture emesse se non registrate vengono comunque intercettate dall’amministrazione finanziaria essendo presenti nella comunicazione dati fatture dell’acquirente (se soggetto Iva). Dal 1° gennaio 2019 poi, con l’avvento della fatturazione elettronica, l’amministrazione finanziaria avrà in tempo reale i dati delle fatture emesse e ricevute, oltre che dei corrispettivi, quindi occultare o distruggere le scritture contabile servirà a ben poco. Sicuramente meglio provvedere con accuratezza a tutti gli adempimenti, per evitare spiacevoli conseguenze.

Sottotitolo:
a cura di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi