La definizione delle liti pendenti: cosa sapere e come procedere

Entro il prossimo 31 maggio 2019 sarà possibile procedere alla definizione delle liti attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate. Alla predetta data devono essere presentate le istanze, disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate e pubblicate, con le relative istruzioni, in forza del provvedimento n. 39209 del 18 febbraio 2019 e

Entro il prossimo 31 maggio 2019 sarà possibile procedere alla definizione delle liti attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate. Alla predetta data devono essere presentate le istanze, disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate e pubblicate, con le relative istruzioni, in forza del provvedimento n. 39209 del 18 febbraio 2019 e deve provvedersi al pagamento quantomeno della prima rata. Ferma restando la possibilità di pagare in unica soluzione, il legislatore ha previsto l’utilizzo di un massimo di 20 rate se l’importo dovuto è almeno superiore a 1.000,00 euro.

Analizziamo gli aspetti principali della disposizione.

 

Che significa lite pendente

La possibilità di chiusura delle liti in corso riguarda gli atti impositivi emessi dall’Agenzia delle Entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio. Ovviamente è necessario che il giudizio sia pendente; posto che la norma è entrata in vigore il 24 ottobre 2018, è a tale data che va verificata la pendenza della lite.

 

La data del 24 ottobre è importante anche per individuare lo stato del contenzioso ai fini della determinazione degli importi da pagare. In particolare:

  • Rileva l’eventuale giudizio esistente al 24 ottobre (essendo necessario che la sentenza sia depositata, non rilevando la mera data della decisione), non avendo importanza che successivamente sia sopraggiunta un’altra decisione (si immagini l’esistenza della sentenza di primo grado con il sopraggiungere, nel mese di novembre, della sentenza della regionale);
  • È fondamentale che al 24 ottobre sia stato notificato quantomeno il ricorso all’Agenzia delle Entrate, a prescindere dalla costituzione in commissione tributaria;
  • È altresì indispensabile che a tale data non sia passata in giudicato una decisione precedentemente intervenuta (con relativa estinzione della lite).

 

Quali sono le liti definibili

Le controversie definibili sono quelle che hanno ad oggetto atti impositivi (solitamente trattasi degli avvisi di accertamento), essendo invece esclusi gli atti di mera liquidazione (come nel caso della liquidazione della dichiarazione ex articolo 36-bis del DPR 600/73).

In termini pratici deve essersi in presenza di un’azione di controllo del fisco, con cui è stata contestata qualche omissione del contribuente, mentre non rilevano le liti riferite, ad esempio, alle cartelle di pagamento con cui l’amministrazione finanziaria si è limitata a richiedere il versamento degli importi risultanti dalle dichiarazioni (dunque spontaneamente dichiarati dalla parte) e poi non pagati.

La definizione riguarda ogni singolo atto e non implica l’obbligatoria definizione degli atti che possiamo definire “collegati”. A tale riguardo, il riferimento classico riguarda il rapporto tra le società di persone e i soci, caratterizzati dal c.d. litisconsorzio necessario. Ebbene, se anche la lite procede mediante riunione dei ricorsi della società e dei soci, ai fini della sanatoria ogni parte in causa potrà decidere autonomamente, ben potendosi registrare casi in cui la società definisce e i soci intendono proseguire la lite o viceversa (o ancora ipotesi in cui solo alcuni soci definiscono e altri no).

Ad analoghe conclusioni si giunge per le liti in cui è avvenuta la riunione del giudizio per diverse annualità accertate: il contribuente avrà piena facoltà di scegliere quali annualità definire. Non è ovviamente ammessa una definizione parziale dell’atto oggetto della lite.

 

Il quantum dovuto per la definizione

L’importo da pagare è strettamente connesso allo stato del contenzioso e al relativo esito sopraggiunto, con situazioni differenziate a seconda delle varie casistiche. Per quanto riguarda il caso classico degli accertamenti, anzitutto deve evidenziarsi che il legislatore assume come riferimento il “valore della controversia”, vale a dire l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato.

Sul punto merita di essere evidenziata la totale assenza di riferimento ai “contributi”, il cui “destino”, al momento non è noto, potendosi solo immaginare che l’ente competente potrebbe comunque richiederne il pagamento: trattasi di una clamorosa svista del legislatore, che invece nelle altre definizioni, come nel caso dei PVC, è stato ben preciso al riguardo. L’Agenzia delle Entrate nel passato ha avuto modo di precisare che per la determinazione dell’effettivo valore della controversia vanno comunque esclusi gli importi che eventualmente non formano oggetto della materia del contendere, come nelle ipotesi di contestazione parziale dell’atto impugnato o di parziale annullamento in autotutela dell’atto impugnato.

 

In linea generale, la norma richiede il pagamento del 100% degli importi contestati. Nel caso dell’accertamento fiscale, si tratta dell’importo delle imposte, con stralcio degli interessi e delle sanzioni irrogate.

Il pagamento del 100% rimane tale in particolare in tutte le ipotesi in cui è sopraggiunto un giudicato al 24 ottobre 2018 con esito favorevole in toto all’amministrazione finanziaria.

Se invece ancora non vi è un giudicato, l’importo del 100% è comunque dovuto se alla predetta data il contribuente non si era ancora costituito in giudizio (ad esempio, ricorso prodotto il 20 ottobre e costituzione avvenuta il 10 novembre); di contro, se al 24 ottobre 2018 era avvenuta la costituzione in giudizio, il contribuente è tenuto al pagamento del 90% del valore della controversia.  

 

Dopo di che il legislatore ha diversificato gli importi in caso di esito favorevole al contribuente, prevedendo in particolare che egli è tenuto a versare:

  • il 40% del valore della controversia in caso di vittoria in CTP;
  • il 15% del valore della controversia in caso di vittoria in CTR.
  •  

Come detto, rileva lo stato dell’arte al 24 ottobre 2018, non interessando gli accadimenti successivi. Questo significa, volendo elaborare alcuni esempi, che:

  • nell’ipotesi in cui al 24 ottobre il contribuente aveva solo prodotto il ricorso e non si era costituito in giudizio, è tenuto a pagare il 100% (si immagini un ricorso prodotto il 22 ottobre all’agenzia delle entrate e la costituzione in giudizio avvenuta il 20 novembre);
  • in caso di costituzione in giudizio al 24 ottobre, ma in assenza di sentenza alla stessa data, per la definizione si paga il 90% a prescindere da eventi successivi (si immagini l’eventuale discussione di primo grado programmata e avvenuta il 15 gennaio 2019 , con sentenza depositata il 13 febbraio 2019 con esito favorevole al contribuente: volendo definire, tale esito positivo non avrebbe rilievo e pertanto il contribuente non potrebbe pagare il 40%);
  • se al 24 ottobre si era già in presenza di un esito favorevole in CTP, il contribuente pagherà il 40% anche se successivamente dovesse giungere una decisione della regionale e a prescindere dall’esito della stessa (si immagini che in data 10 marzo 2019 sopraggiunga una sentenza della regionale e che la stessa sia alternativamente favorevole/sfavorevole; l’esito della stessa non impatta sulla definizione, non potendo il contribuente in caso di esito positivo pagare il 15%, ovvero essere costretto a pagare il 100% in caso di esito negativo).

 

In caso di accoglimento parziale del ricorso è necessario procedere ad una ripartizione degli importi. È, infatti, dovuto l’intero l’importo del tributo relativo alla parte in cui è vittoriosa l’Agenzia delle Entrate, mentre in relazione alla parte in cui è il contribuente ad aver vinto si applicano le percentuali viste in precedenza (ossia il 40% se trattasi di giudicato di primo grado, o il 15% in presenza di sentenza della CTR).

In termini pratici, immaginando una contestazione per un totale di 100 di imposte con esito favorevole al contribuente in CTP per 40, ai fini della definizione bisognerà versare 60 per intero (trattasi dell’ammontare perso) e il 40% di 40, vale a dire altri 16, per un importo totale di 76. In dote si ottiene lo scomputo delle sanzioni (solitamente pari al 90% delle imposte), degli interessi (anche di mora) e degli eventuali oneri della riscossione: di fatto, il “peso” di tutti questi balzelli può giungere anche ad un buon 120% degli importi dovuti in termini di imposte (nell’esempio di sopra, è ipotizzabile un risparmio di almeno 85).

 

I ricorsi pendenti in Cassazione

Durante l’iter di approvazione in legge è stato poi ulteriormente previsto che per le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data del 19 dicembre 2018, per le quali risulti soccombente l’Agenzia delle Entrate in tutti i precedenti gradi di giudizio, il contribuente può definire la lite pagando un importo pari al 5% del valore.

Sul punto si sottolinea la discrasia temporale rispetto alla data del 24 ottobre: per avere la possibilità di pagare al 5% è indispensabile che il ricorso in Cassazione sia pendente alla data del 19 dicembre.

 

Controversia per le sole sanzioni

Diversa è invece la definizione della controversia riguardante l’irrogazione di sanzioni, laddove il valore di riferimento è costituito dalla somma di queste.

Al riguardo il legislatore ha previsto il pagamento:

  • del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle Entrate;
  • del 40% negli altri casi.

 

Come procedere

Si è anticipato che il contribuente è totalmente svincolato dalle scelte altrui o dalle particolari condizioni del procedimento: egli può scegliere autonomamente per ogni singolo atto di accertamento, dovendo presentare una distinta domanda di definizione.

È bene ricordare che in assenza di importi da versare (perché ad esempio il contribuente nel frattempo ha proceduto al pagamento delle iscrizioni a ruolo provvisorie con importi che sono uguali o maggiori a quelli necessari per la sanatoria), la definizione si perfeziona comunque con la presentazione della domanda, comportamento che è dunque essenziale.

 

La domanda può essere trasmessa:

  • direttamente, dai contribuenti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle entrate;
  • incaricando un professionista;
  • recandosi presso uno degli Uffici territoriali di una qualunque Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate, che attesta la presentazione diretta della domanda consegnando al contribuente la stampa del numero di protocollo attribuito.

 

Ai fini del pagamento, devono anzitutto sottolinearsi due precisazioni fondamentali del legislatore:

  • non è ammessa la compensazione con eventuali crediti;
  • dagli importi dovuti, si scomputano le somme versate a qualsiasi titolo nelle procedure di riscossione (pur se l’Agenzia delle Entrate afferma che sono comunque dovuti gli importi di spettanza dell’agente della riscossione, ossia aggi, spese per le procedure esecutive, spese di notifica, ecc.). Ovviamente, se nel procedere al pagamento delle iscrizioni provvisorie previste nell’iter del contenzioso, il contribuente ha già versato importi maggiori di quelli necessari per definire, non avrà diritto al rimborso delle eccedenze versate.

La procedura si perfeziona con il versamento al 31 maggio in unica soluzione o comunque della prima rata. In particolare, se gli importi dovuti superano 1.000,00 euro il contribuente è ammesso al pagamento rateale, in un massimo di venti rate trimestrali (sulle rate successive alla prima si applicano, gli interessi legali). L’eventuale omesso versamento delle rate successive comporta l’iscrizione a ruolo degli importi residui dovuti.

 

Le conseguenze della definizione

L’obiettivo principale è chiaramente quello di “deflazionare” il contenzioso.

A tale riguardo è anzitutto prevista la possibilità, per il contribuente, di richiedere la sospensione del procedimento, in attesa di valutare se aderire o meno. La sospensione non richiede particolari formalità e può essere richiesta anche in udienza (anche se è il caso, a titolo di cortesia, produrre esplicita istanza alla segreteria della commissione che ha convocato l’udienza). Se richiesta, la sospensione opera fino al 10 giugno 2019, data entro la quale il contribuente deve presentare la documentazione di perfezionamento della procedura: in presenza di detta documentazione, viene disposta l’ulteriore sospensione del procedimento fino alla data del 31 dicembre 2020.  

A questo punto è onere dell’Agenzia delle Entrate comunicare l’esito della procedura, dovendo notificare alla parte interessata entro il 31 luglio 2020 e con le modalità previste per gli atti processuali, l’eventuale diniego alla definizione (diniego impugnabile entro 60 giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia).

In assenza di comunicazioni e di richiesta di discussione della controversia, entro il 31 dicembre 2020 il giudice dispone la cessazione del contendere. L’estinzione del giudizio comporta anche il venir meno dell’efficacia di misure cautelari o esecutive già adottate.

Infine, il legislatore ha previsto la sospensione, per nove mesi, dei termini di impugnazione e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione scadenti dal 24 ottobre 2018: di fatto tutti i termini in questione sono sospesi fino al 31 luglio 2019.

 

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi