Il labirinto della gestione fiscale dell’immobile destinato alla professione

  Uno degli aspetti più controversi della fiscalità dei professionisti riguarda gli immobili destinati all’attività, dove tra mancate proroghe, mancate disposizioni, situazioni dubbie e interpretazioni varie, il rischio concreto è che grazie all’incertezza gli errori con conseguenze fiscali siano dietro l’angolo. Il tema è stato analizzato, di recente, dal CNDCEC – FNC con un documento

 

Uno degli aspetti più controversi della fiscalità dei professionisti riguarda gli immobili destinati all’attività, dove tra mancate proroghe, mancate disposizioni, situazioni dubbie e interpretazioni varie, il rischio concreto è che grazie all’incertezza gli errori con conseguenze fiscali siano dietro l’angolo. Il tema è stato analizzato, di recente, dal CNDCEC – FNC con un documento di prassi del 25 luglio 2019, in cui sono riprese le precisazioni eseguite dall’istituto di ricerca nel 2010. È il caso di fare il punto della situazione, tenendo presente anche i principali chiarimenti dell’amministrazione finanziaria.

 

Il concetto di immobile strumentale

La distinzione classica tra immobili strumentali per destinazione e per natura non ha rilievo nell’ambito del lavoro autonomo, laddove sono strumentali gli immobili “utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione” da parte del possessore, indipendentemente dalla relativa categoria catastale. Ciò che rileva è l’aspetto “sostanziale” dell’utilizzo dell’immobile in via esclusiva nella professione, a nulla rilevando la mera volontà del contribuente di considerare lo stesso acquisito a titolo personale (risoluzione n. 13 del 2010). Ne discende che il possesso, ad esempio, di un immobile A10 da parte di una persona che svolge attività professionale non implica automaticamente che lo stesso sia “strumentale”, così come il possesso nella sfera privata di un immobile magari categoria catastale abitativa utilizzato per svolgere l’attività professionale non esclude lo stesso dal novero degli immobili strumentali.

 

La diversa fiscalità in funzione del titolo di possesso

La prima grande distinzione da farsi riguarda gli immobili detenuti a titolo di proprietà, rispetto a quelli utilizzati in forza di un contratto di locazione finanziaria.

Sul piano degli ammortamenti, precisato che in linea generale si applicano le aliquote previste dal DM 31.12.88 (dunque di fatto aliquota del 3%, in forza del richiamo, contenuto nell’articolo 54 del DPR 917/1986, ai co. 7 e 7-bis, dell’articolo 36, D.L. 223/2006 e ulteriormente evidenziando che tale aliquota rappresenta l’ammontare massimo deducibile, potendosi comunque procedere con ammortamenti più contenuti), per comprendere la relativa deducibilità ai fini delle imposte sui redditi e, occorrendo, ai fini Irap è necessario prestare attenzione all’anno di acquisto o di costruzione degli immobili strumentali in proprietà. Infatti:

  • gli immobili acquistati o costruiti fino al 14 giugno 1990 consentono la deduzione delle quote annuali di ammortamento (tuttavia con riferimento agli immobili acquistati o costruiti prima del 1° gennaio 1985 non sono deducibili le quote di ammortamento maturate prima di tale data, che dunque non possono essere nemmeno recuperate in “coda” all’ammortamento degli altri periodi);
  • relativamente agli immobili acquistati o costruiti dal 15 giugno 1990 e fino al 31 dicembre 2006, non è ammessa deduzione fiscale a decorrere dal 1° gennaio 1993;
  • la deducibilità riappare per gli immobili acquistati o costruiti dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 (tenendo presente che nel triennio 2007/2009 le quote di ammortamento sono state ridotte ad 1/3 e gli ammontari non dedotti in detto periodo saranno recuperati “in coda”);
  • a decorrere dal 1° gennaio 2010, non è più prevista la deduzione per gli immobili acquistati o costruiti laddove destinati alla professione.

Si tratta di un vero e proprio labirinto, frutto di norme estemporanee che si sono succedute nel tempo solo per far quadrare i conti del bilancio dello Stato non avendo alcuna logica in termini di coerenza.

 

Su cosa si calcola l’ammortamento

L’ammortamento è calcolato in riferimento al costo storico, incrementato degli oneri di diretta imputazione, ma dovendo scomputare il costo del terreno, che si assume sempre in misura pari al 20% (essendo gli immobili adibiti ad attività diverse dalla produzione e trasformazione di beni), residuando al contribuente solo la possibilità di considerare, in alternativa, il valore del terreno acquistato separatamente (mentre non rilevano eventuali iscrizioni separate in contabilità del valore del terreno) e quello documentato della costruzione.

Occorre rilevare che il legislatore che nel tempo ha più volte riproposto disposizioni per la rivalutazione degli immobili non ha mai preso in considerazione in reddito di lavoro autonomo, concedendo il beneficio solo agli imprenditori.

Ovviamente, in riferimento agli immobili che generano deducibilità, in caso di cessione possono determinarsi plusvalenze tassabili o minusvalenze deducibili, mentre mediante l’autoconsumo (ossia mediante l’estromissione dell’immobile dalla sfera professionale a quella privata) possono emergere plusvalenze. L’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n.13/E/2010, ha ribadito che in riferimento agli acquisti del triennio 2007/2009 sono rilevanti anche le plusvalenze riferite agli immobili acquistati in privato, ma usati per lo svolgimento dell’attività.

 

L’immobile in leasing

Diversa è invece la situazione per i leasing, dovendosi comunque fare riferimento alla data di stipula del contratto di locazione finanziaria. In particolare:

  • per i contratti stipulati dal 15 giugno 1990 fino al 31 dicembre 2006, i canoni di leasing sono indeducibili, tuttavia è ammesso in deduzione un importo pari alla rendita catastale;
  • per i contratti stipulati dal 1° gennaio 2007 fino al 31 dicembre 2009, la deduzione è legata alla durata minima del contratto pari a 1/2 del periodo di ammortamento tabellare, con un minimo di 8 anni ed un massimo di 15 anni (di fatto, i contratti devono attestarsi almeno a 15 anni). Inoltre, come per gli acquisti, per gli anni 2007-2009 la deduzione è ridotta ad 1/3;
  • per i contratti stipulati dal 1° gennaio 2010 fino al 31 dicembre 2013, non è prevista alcuna deducibilità dei canoni di leasing e nemmeno della rendita catastale;
  • per i contratti stipulati dal 1° gennaio 2014 la deduzione è ammessa per un periodo minimo di almeno 12 anni, mentre il contratto ha durata libera (questo significa che se il contratto dura meno di 12 anni, bisognerà per competenza spalmare i canoni di locazione su 12 anni, mentre se il contratto dura oltre 12 anni saranno deducibili i canoni maturati in ciascun periodo d’imposta in base al contratto).

Come per i beni acquistati, è necessario provvedere all’indeducibilità della quota capitale del canone riferito ai terreni (con scorporo del 20%), mentre è interamente deducibile la quota relativa agli interessi.

È di tutta evidenza il diverso trattamento fiscale esistente a decorrere dal 2014, situazione che però vede “indifferente” l’agenzia delle entrate sul piano interpretativo: di fatto, a parere dell’amministrazione finanziaria in assenza di un intervento del legislatore non è possibile riconoscere la deducibilità dei canoni. Di diverso avviso il citato documento CNDCEC – FNC del 25 luglio 2019 secondo cui sussiste un sostanziale principio di equivalenza fiscale tra l’acquisizione in proprietà e quella in leasing, ribadita peraltro in più occasioni dalla stessa Agenzia delle Entrate in merito al leasing di terreni (risoluzione 19/E/2004) e al leasing azionario (risoluzione 69/E/2004).

 

I beni ad uso promiscuo

Gli immobili ad uso promiscuo, ossia gli immobili adibiti sia per l’esercizio dell’attività professionale sia per l’uso personale o familiare del professionista, sono espressamente contemplati dall’articolo 54, comma 3, del TUIR ai sensi del quale: “Per gli immobili utilizzati promiscuamente, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione, è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita ovvero, in caso di immobili acquisiti mediante locazione, anche finanziaria, un importo pari al 50 per cento del relativo canone”.

Sul punto, con la circolare 35/E/2012, è stato precisato che ai fini della deduzione del 50% della rendita e dei canoni di locazione, anche finanziaria, è irrilevante la porzione dell’unità immobiliare che il professionista decide di utilizzare per lo svolgimento dell’attività professionale. Di fatto trattasi di una semplificazione per la deduzione dei costi connessi a questo immobile, sottolineandosi che ovviamente non è possibile avere deduzione nel caso in cui si disponga, nel medesimo comune, di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione.

Per gli immobili in leasing è sempre necessaria la verifica del momento di stipula del contratto:

  • se stipulato entro il 31 dicembre 2006, è deducibile il 50% della rendita catastale;
  • se stipulato dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009, è possibile dedurre il 50% del canone a condizione che il contratto abbia durata non inferiore, di fatto, a 15 anni;
  • se stipulato dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2013 non è consentita alcuna deduzione;
  • se stipulato dal 1° gennaio 2014 è possibile dedurre il 50% del canone a condizione che il contratto abbia durata non inferiore a 12 anni.

 

La gestione delle spese sostenute sugli immobili

Fino al 31.12.2006, sugli immobili destinati all’attività (sia di proprietà che in locazione o detenuti ad altro titolo), era prevista la deducibilità in 5 quote costanti delle spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria (dunque spese deducibili nell’anno di sostenimento ed i quattro successivi). Le spese di manutenzione ordinaria invece risultavano integralmente deducibili nell’anno, dovendosi rispettare solo il generale requisito di inerenza.

A decorrere dal 1° gennaio 2007, la normativa fiscale non distingue più tra spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma tra spese di manutenzione di natura incrementativa e non, laddove per spese incrementative si intendono quelle che incidono sugli elementi strutturali e che determinano un significativo incremento della capacità produttiva o della vita utile del cespite stesso.

L’aspetto particolare della vicenda è che oggi l’art. 54, comma 2, del TUIR disciplina espressamente solo le spese non incrementative, prevedendo che le stesse siano deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultante all’inizio del periodo d’imposta, mentre l’eventuale eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi. Se i beni materiali ammortizzabili non sono esistenti ad inizio anno, mancando il parametro per il calcolo del plafond del 5% di deducibilità nel periodo di sostenimento della spesa, la tesi più accreditata, sostenuta dal Consiglio nazionale del Notariato con studio 88-2011/T, è che si deducano le spese solo nei 5 periodi successivi.

Le spese incrementative sono solitamente capitalizzabili sui relativi beni e la deducibilità avviene mediante le quote di ammortamento. In riferimento ai professionisti, però, si pone il problema della corretta gestione delle spese sostenute in riferimento a quei beni che non sono fiscalmente ammortizzabili. Sul tema, è possibile fare riferimento ai diversi chiarimenti che nel tempo sono stati forniti ed in particolare:

  • per gli immobili acquisiti sino al 14.6.90, le spese incrementative sono capitalizzate e dedotte come maggiori quote di ammortamento (studio Consiglio nazionale del Notariato 88-2011/T);
  • per gli Immobili acquisiti dopo il 14.6.90 e sino al 31.12.2006, le spese incrementative sono deducibili secondo la disciplina dettata dal previgente art. 54 co. 2 del TUIR, in base al quale “le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione straordinaria di immobili utilizzati nell’esercizio di arti e professioni sono deducibili in quote costanti nel periodo di imposta in cui sono sostenute e nei quattro successivi” (circolare n. 47/E/2008 e Risoluzione n. 99/E/2009);
  • per gli immobili acquisiti nel triennio 2007-2009, le spese incrementative, capitalizzate sul costo dell’immobilizzazione, sono dedotte sotto forma di maggiori quote di ammortamento;
  • per gli Immobili acquisiti a partire dall’1.1.2010, Le spese incrementative sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5% del costo complessivo dei beni materiali ammortizzabili risultante ad inizio anno e, per l’eventuale eccedenza, in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi.

 

La deducibilità dell’IMU

Nell’ambito del lavoro autonomo è deducibile l’IMU (nei limiti che vedremo) riferita all’immobile strumentale. Come già detto, per il professionista è strumentale ‘immobile utilizzato direttamente ed esclusivamente per l’attività di lavoro autonomo.

Va a questo proposito rilevato che se, come talvolta accade, il professionista ha affittato una stanza ad un collega in linea di principio la deducibilità non spetta perché manca l’uso esclusivo.

Ciò detto, per i professionisti la deducibilità dei costi e spese avviene al momento del loro pagamento. Dunque, solo al momento in cui l’IMU è pagata diviene deducibile. Si potrebbe osservare che questo criterio è seguito anche nell’ambito del reddito d’impresa posto che l’articolo 99 del Tuir prevede anche per questi ultimi questo criterio. Tuttavia, vi è una differenza fondamentale: mentre il professionista segue il criterio di cassa puro, l’impresa è connotata dal criterio di cassa improntato alla competenza. 

In concreto, posto che la deducibilità dell’IMU fino al 2018 mentre dal 2019 è elevata al 50%, l’impresa che nel corso del 2019 dovesse pagare l’IMU di competenza del 2018 deduce il 20%, viceversa il professionista che nel corso del 2019 dovesse pagare l’IMU del 2018 deduce il 50%.

Uno dei pochi vantaggi, connotati nel sistema fiscale del professionista che risulta più vantaggiato rispetto all’impresa.

Non c’è da gioire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore/i:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi