Dichiarazione redditi – Deduzioni e detrazioni. Come massimizzare i benefici e non perdere le occasioni

All’avvicinarsi della dichiarazione dei redditi viene alla ribalta la tematica del legittimo risparmio d’imposta, ossia la corretta valutazione delle condizioni normative che possono condurre ad un contenimento del peso erariale. Una delle variabili più interessanti da questo punto di vista è rappresentata dal mondo delle deduzioni dall’imponibile e detrazioni d’imposta, spesso “trascurato” durante l’anno, salvo

All’avvicinarsi della dichiarazione dei redditi viene alla ribalta la tematica del legittimo risparmio d’imposta, ossia la corretta valutazione delle condizioni normative che possono condurre ad un contenimento del peso erariale.

Una delle variabili più interessanti da questo punto di vista è rappresentata dal mondo delle deduzioni dall’imponibile e detrazioni d’imposta, spesso “trascurato” durante l’anno, salvo poi riscoprirne l’importanza proprio in sede di dichiarazione.

Nel prosieguo si cercherà di offrire qualche spunto di riflessione con particolare attenzione all’attività professionale, sottolineando l’importanza della corretta gestione anzitutto delle deduzioni legate:

  • ai contributi professionali
  • alle possibilità offerte dal legislatore circa la migliore gestione dei benefici fiscali connessi agli oneri sostenuti nell’interesse del proprio nucleo familiare.

 

La ricognizione della capienza del reddito rispetto agli oneri deducibili

Da un punto di vista procedurale, il primo sguardo deve essere rivolto agli effetti complessivi che i benefici fiscali hanno nella dichiarazione dei redditi. Anzitutto deve osservarsi cosa accade in forza degli oneri deducibili.

La riflessione di carattere pratio è molto semplice: se le deduzioni sono tali da assorbire tutto il reddito imponibile, è evidente che il contribuente in questione non ha alcun interesse ad imputarsi altri oneri, sia deducibili che detraibili.

Sembra una banalità ma non lo è affatto, soprattutto nel modello Unico. Spesso si notano compilazioni in cui il reddito imponibile è già stato azzerato per effetto delle deduzioni (in primo luogo in virtù dei contributi obbligatori versati) e sono anche indicate potenziali detrazioni che non sono fruite per assenza dell’imposta lorda di riferimento.

Al riguardo è bene chiarire che salvo rare ipotesi, il sistema delle deduzioni e detrazioni non consente l’emersione di crediti d’imposta, pertanto:

  • le deduzioni possono essere fruite sino a capienza del reddito;
  • le detrazioni fino a capienza dell’imposta lorda.

Traducendo il tutto in termini semplici, se un professionista dichiara un reddito di lavoro autonomo che resta immutato come reddito complessivo, di ammontare pari a 10 mila euro e ha contributi obbligatori e altri oneri deducibili di ammontare pari a 10 mila euro, ha il proprio reddito imponibile azzerato.

La conseguente imposta è pari a zero e dunque nessuna detrazione può essere fruita.

Lasciare a tale contribuente i carichi di famiglia, piuttosto che le spese sostenute nell’interesse dei familiari a carico, è del tutto inutile. Conviene invece analizzare le possibilità offerte dal legislatore per “spostare” le detrazioni agli altri familiari (in primo luogo il coniuge), per poter massimizzare il beneficio fiscale.

Ecco perché è importante anzitutto l’analisi degli oneri deducibili.

 

 

La ricognizione della capienza dell’imposta rispetto agli oneri detraibili

Dopo aver fatto ciò, bisogna concentrarsi sugli oneri detraibili ed in particolare su quelli rispetto ai quali è concessa “facoltà di scelta”.

Non si tratta delle spese direttamente sostenute (come quelle mediche personali), rispetto alle quali per forza il contribuente è obbligato a detrarre. Parliamo, invece:

  • delle spese sostenute per i familiari a carico;
  • delle detrazioni per carichi di famiglia;
  • delle residue possibilità concesse in altre tipologie di spesa, laddove al ricorrere di determinate circostanze è comunque possibile cercare di massimizzare il beneficio fiscale.

 

La deduzione dal reddito dei Contributi obbligatori

Nell’ambito degli oneri deducibili, per il mondo professionale di sicuro rilievo sono i contributi professionali. Secondo la posizione dell’amministrazione finanziaria, i contributi obbligatori professionali sono deducibili dal reddito complessivo e non sono componenti negativi del reddito professionale (risoluzione 79 del 2002, che ha affrontato nello specifico la casistica dei contributi versati dai notai alla Cassa nazionale del notariato). Invero la Corte di Cassazione in diverse occasioni ha espresso parere opposto (sentenza n. 2781 del 2001 e ordinanza n. 1939 del 2009), ma onde evitare contestazioni è sicuramente consigliabile procedere con la compilazione del quadro RP.

In merito si segnala poi la risoluzione 69 del 2009, che in riferimento ai contributi versati dai ragionieri e periti commerciali alla cassa di appartenenza, ha evidenziato anzitutto la sussistenza dell’obbligo di versare sia il contributo soggettivo sia quello integrativo.

Se la contribuzione soggettiva è chiaramente deducibile, per quanto riguarda, invece, il contributo integrativo assistito dal meccanismo della rivalsa, posto che lo stesso non concorre alla formazione del reddito di lavoro autonomo e, più in generale, alla determinazione della base imponibile ai fini IRPEF, non può che concludersi per la relativa indeducibilità, che ricorre anche nell’ipotesi in cui l’iscritto pur avendo maturato il diritto alla rivalsa, per qualsiasi motivo, non lo esercita.

Nel citato documento di prassi l’amministrazione finanziaria però giunge a conclusioni diverse in relazione al contributo integrativo minimo,  dovuto nell’ ipotesi in cui il contribuente abbia realizzato un limitato volume d’affari o, addirittura, un volume d’affari pari a zero. In questi casi, infatti, dato l’obbligo di versare in ogni caso un importo ancorato ad un volume d’affari teorico, ben può verificarsi che il contributo integrativo minimo sia superiore al contributo integrativo che il professionista può addebitare al committente esercitando la rivalsa. In tal caso, la differenza che rimane a completo carico dell’iscritto che non può recuperare dai propri clienti l’onere contributivo, attesa la relativa la natura previdenziale la obbligatorietà, è chiaramente deducibile.

Sul tema infine la risoluzione n. 77 del 2007 ha precisato che nel caso di versamento on-line dei contributi previdenziali con l’utilizzo della carta di credito con addebito sul conto corrente nel mese successivo (il caso particolare ricorre nell’ipotesi di addebito al 15 gennaio), i professionisti possono dedurre l’onere sostenuto nell’anno di imposta in cui è stata utilizzata la carta di credito, a prescindere dal momento in cui verrà addebitato sul conto corrente l’importo versato.

Detrazioni per familiari a carico

Detto dei contributi, che agiscono come onere deducibile, volgiamo lo sguardo alle detrazioni dall’imposta per comprendere se ed entro quali limiti possono essere “spostate” per la massimizzazione del beneficio fiscale.

Quanto ai carichi di famiglia, gli stessi sono riconosciuti quando i familiari non hanno superato il reddito annuo di 2.841,00 euro. Deve essere sottolineato che al ricorrere delle condizioni normative (nel caso del coniuge e dei figli rileva solo il non superamento della predetta soglia reddituale, essendo ininfluente sia l’età dei soggetti che il luogo di residenza), il familiare è già considerato a carico, a prescindere dall’utilizzo della detrazione. In termini pratici, anche se poi il contribuente decide di riportare il valore “zero” come percentuale di detrazione spettante, comunque il familiare rientra tra quelli fiscalmente a carico.

In linea generale, la ripartizione per i figli a carico avviene nella misura del 50% tra i coniugi aventi diritto. Ciò non toglie che i coniugi possano ripartirsi diversamente i carichi di famiglia, attribuendo gli stessi per intero ad uno solo di essi: la sola condizione da rispettare è che il carico di famiglia sia rivolto al coniuge con reddito più elevato. In questo modo il beneficio riconosciuto è inferiore, dato che la detrazione è inversamente proporzionale al reddito complessivo.

Ma se vi è incapienza nell’imposta lorda per il coniuge che rinuncia alla detrazione, ecco che tramite il secondo coniuge si ottiene un incremento del beneficio complessivo. In termini numerici è possibile comprendere meglio cosa accade.

Si torni all’ipotesi del professionista con reddito complessivo pari a zero a causa delle deduzioni dall’imponibile fruite. Il coniuge del professionista ha un reddito di 10 mila euro. Hanno due figli a carico, che attribuiscono una detrazione, nella misura del 50%, di 1.500 euro al professionista e di 1.000 euro al coniuge. Il professionista, però, non ha alcun interesse ad avere un simile carico di famiglia, perché la detrazione non potrebbe essere fruita e non origina crediti.

 Ecco dunque che decidendo il professionista di indicare “zero” come percentuale a proprio carico e attribuendo il 100% al coniuge, il professionista medesimo non fruisce di alcuna detrazione (comunque inutile), mentre il coniuge vede incrementare la propria detrazione a 2.000,00 euro.

L’incremento è minore, essendo inversamente proporzionale al reddito del contribuente che assume i carichi di famiglia, ma il vantaggio complessivo è di immediata percezione: in questo modo il nucleo familiare ha recuperato 1.000 euro di detrazione altrimenti non utilizzate.

Detrazioni per oneri riferiti a familiari a carico

La scelta di ripartire diversamente il carico di famiglia comunque non incide sugli altri oneri. Pertanto, per le spese mediche, le spese di istruzione, le palestre, etc, comunque i due genitori possono decidere liberamente come ripartire le varie detrazioni. Lo afferma chiaramente la circolare n. 11 del 2007.

È evidente che nel caso appena analizzato si continuerà ad attribuire tutto al coniuge capiente, ma magari potremmo avere un professionista con una imposta residuale non elevata ma d’importo tale da far fruire alcuni oneri detraibili. In questo caso, pur in assenza della detrazione per il familiare (si ripete, solo perché si indica la percentuale “zero”, non significando che non si ha diritto astrattamente al carico di famiglia), sarà comunque possibile detrarre le spese sostenute nell’interesse dei familiari.

In merito è importante ricordare che:

  • In linea generale, quando l’onere è sostenuto per i figli, la detrazione spetta al genitore al quale è intestato il documento che certifica la spesa;
  • se il documento è intestato al figlio, le spese devono essere suddivise tra i due genitori in relazione al loro effettivo sostenimento. Qualora i genitori intendano ripartire le spese in misura diversa dal 50% devono annotare nel documento comprovante la spesa la percentuale di ripartizione:
  • Ovviamente, se uno dei due coniugi è fiscalmente a carico dell’altro, quest’ultimo può sempre considerare l’intera spesa sostenuta ai fini del calcolo della detrazione.

 

In chiusura, con specifico riguardo agli oneri più diffusi, un’attenzione particolare per la gestione delle spese sostenute “in famiglia” è richiesta:

  • dagli interessi passivi pagati per i mutui contratti con riferimento all’abitazione principale;
  • dalle spese di recupero del patrimonio edilizio.

Detrazione interessi su Mutui

In realtà in questo caso le regole devono essere conosciute soprattutto prima di effettuare determinate scelte, posto che le detrazioni rispettano vincoli ben specifici e di non semplice gestione, con il rischio concreto di ritrovarsi con spese sostenute e oggettiva impossibilità di fruizione del beneficio fiscale.

 Ad ogni buon conto il richiamo di determinate precisazioni può essere utile anche per ottimizzare le scelte dichiarative.

Per quanto concerne i mutui, la regola di fondo da tener presente è che detrae chi è contemporaneamente:

  • proprietario dell’immobile;
  • intestatario del mutuo.

Questo significa che:

  • se due coniugi acquistano insieme l’immobile e hanno il mutuo cointestato, detraggono;
  • se i due coniugi in questione contraggono il mutuo per acquistare l’immobile al figlio, hanno commesso un errore notevole perché nessuno riuscirà mai a portare a casa la detrazione (i coniugi non sono proprietari della casa e il figlio non è intestatario del mutuo).

Un buon grado di attenzione deve essere poi posto alla eventuale detrazione della quota di interessi di competenza del coniuge fiscalmente a carico.

In primo luogo, la detrazione della quota spettante al coniuge a carico:

  • compete solo nel caso di mutui destinati all’acquisto dell’abitazione principale (per capirci, quelli da indicare nel rigo RP7);
  • non è prevista dal legislatore nel caso di mutui destinati alla costruzione dell’immobile da adibire ad abitazione principale (dunque non è possibile fruire per la detrazione del coniuge nel caso di compilazione di RP8, codice 10). 

In secondo luogo, comunque, la quota del coniuge a carico è detraibile se in capo al coniuge ricorrono le condizioni normative, vale a dire egli:

  • deve essere intestatario del mutuo;
  • deve essere anche proprietario (almeno per una quota minima).

Se il coniuge a carico non è proprietario, non sussiste proprio una quota detraibile e il contribuente potrà detrarre solo la quota del 50% di propria competenza.

Detrazioni per interventi di recupero edilizio

Per gli interventi di recupero edilizio, invece, sono due i chiarimenti che in riferimento ai “rapporti familiari” e alla massimizzazione del beneficio fiscale meritano di essere richiamati:

  • Se chi sostiene le spese non è il coniuge proprietario dell’immobile, il legislatore ammette il beneficio solo nel caso di familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile sul quale vengono effettuati i lavori. Perché il convivente possa beneficiare della detrazione non è necessario che l’immobile oggetto degli interventi di ristrutturazione costituisca l’abitazione principale dell’intestatario dell’immobile e del familiare convivente, ma è necessario che i lavori siano effettuati su uno degli immobili in cui di fatto si esplica la convivenza. Inoltre, la condizione di convivenza deve sussistere alla data di inizio lavori;
  • In caso di lavori condominiali, il contribuente, coniuge convivente del proprietario dell’immobile, può portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi le spese sostenute, anche se pagate con assegno bancario tratto sul conto corrente cointestato ai due coniugi. Come evidenziato nella circolare n. 11 del 2014, sul documento rilasciato dall’amministratore comprovante il pagamento della quota millesimale relativa alle spese in questione, il coniuge convivente dovrà indicare i propri estremi anagrafici e l’attestazione dell’effettivo sostenimento delle spese. 

Sottotitolo:
a cura di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi