Compensazioni, stretta decisa e occhio alle sanzioni

“Fatta la norma, trovato l’inganno”. Questo vecchio adagio ha purtroppo caratterizzato alcuni “meandri” fiscali ed in particolare il mondo delle compensazioni, laddove a seguito dell’introduzione di uno strumento di grande civiltà (perchè è del tutto inutile e dannoso per un contribuente dover versare degli importi, avendone altri a credito che poi dovrebbe chiedere a rimborso),

“Fatta la norma, trovato l’inganno”. Questo vecchio adagio ha purtroppo caratterizzato alcuni “meandri” fiscali ed in particolare il mondo delle compensazioni, laddove a seguito dell’introduzione di uno strumento di grande civiltà (perchè è del tutto inutile e dannoso per un contribuente dover versare degli importi, avendone altri a credito che poi dovrebbe chiedere a rimborso), si sono viste “inventive” di ogni genere, ma tutti rigorosamente illecite e truffaldine, aventi il fine comune di conseguire un illegittimo risparmio fiscale, concretizzato per il tramite di compensazioni “farlocche”, messe in piedi mediante il frequente utilizzo di crediti inesistenti.

L’amara conseguenza di tale stato di cose è che il legislatore ha dovuto progressivamente introdurre delle cautele, per cercare di prevenire tali comportamenti, che inevitabilmente hanno colpito tutti indiscriminatamente, con un aggravio burocratico che magari può far storcere la bocca.

Fatto è che anche per il 2020 vi sono nuove previsioni specifiche, che contrastano le indebite compensazioni e che necessariamente devono essere adottate, onde evitare non soltanto le sanzioni per l’omesso versamento, ma anche le nuove penali riferite agli errati modelli F24 eventualmente utilizzati.

Tre i fronti di intervento:

  1. il blocco delle compensazioni nel caso di accollo e di partite IVA cessate;
  2. l’estensione anche alle imposte sui redditi delle regole afferenti il visto di conformità IVA per l’utilizzo dei relativi crediti in compensazione;
  3. la previsione di nuovi obblighi nell’utilizzo del canale fisconline/entratel, da usare sempre in presenza di compensazioni.

Vediamo cosa accade.

 

 

Il divieto di compensazione con l’accollo

L’accollo del debito, almeno in linea di principio, è disciplinato dallo Statuto del Contribuente, ma non ha mai trovato attuazione mediante il previsto (e mai emanato), decreto attuativo. La possibilità teorica però ha nel tempo scatenato la fantasia di qualcuno, registrandosi “strane” compravendite di crediti d’imposta, a prezzi di saldo. Fatta eccezione per le casistiche “lecite”, è giunta (frequente) la voce di aziende che proponevano in “vendita” i propri crediti con uno sconto del 20%, accampando la scusa che pur essendo crediti formalmente corretti (ma mai verificati sul piano sostanziale), per le condizioni dell’azienda medesima non era possibile incassare o compensare. Al che, l’azienda aveva interesse a monetizzare il credito, pur rinunciando ad una parte dello stesso.

Il credito veniva “venduto” con la tecnica dell’accollo: in pratica, l’azienda con il credito procedeva a produrre un F24 a vantaggio del debitore d’imposta, compensando il debito di quest’ultimo con il proprio credito (ad esempio per 10 mila). Dopo di che il debitore accollato, una volta avuto esito positivo il modello F24, provvedeva a pagare l’importo pattuito (10 mila al netto dello sconto del 20%, dunque 8 mila).

 

 

La prassi e la giurisprudenza

L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 140/2017 è intervenuta sul punto, facendo riferimento alla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 28162 del 2008), per mettere un freno a questo fenomeno non molto edificante. La Cassazione aveva precisato che l’assunzione volontaria dell’impegno di pagare le imposte dovute dall’iniziale debitore non determinava l’assunzione della posizione di “contribuente” o di “soggetto passivo del rapporto tributario”, ma comporta semplicemente l’assunzione del debito della qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di un titolo negoziale.

Partendo da tale assunto, l’Amministrazione finanziaria aveva sottolineato di non poter esercitare nei confronti degli accollanti i propri poteri di accertamento e di esazione, limitati solo all’accollato. Per evitare dunque fraintendimenti, la risoluzione 140/2017 ha negato la possibilità di soddisfare il credito fiscale mediante compensazione in caso di accollo, stabilendo che la compensazione può avvenire solo tra i debiti e i crediti maturati dallo stesso soggetto.

Evidentemente il solo precedente di prassi non è bastato per arginare i comportamenti dapprima descritti ed è dunque stato necessario l’intervento del legislatore, che conferma in toto l’assunto del richiamato documento di prassi: in caso di accollo del debito, non è possibile procedere mediante la compensazione di crediti dell’accollante.

La disposizione, in conformità ai contenuti della risoluzione n. 140/2017 dal punto di vista delle sanzioni opera una precisa distinzione:

  • Nei confronti dell’accollato (vale a dire l’originario debitore), il pagamento deve considerarsi omesso e conseguentemente si applica la relativa sanzione (ossia il 30%, avendo presente che detta sanzione raggiunge tale misura solo trascorsi 90 giorni dall’omissione);
  • per l’accollante (vale a dire chi ha effettuato la compensazione utilizzando il proprio credito) si applica la sanzione del 30% nella augurabile ipotesi in cui il credito utilizzato è esistente (in questa ipotesi non potendosi considerare utilizzato il credito resta disponibile per i debiti del diretto interessato), o la sanzione dal 100 al 200% laddove il credito sia inesistente. In questa sciagurata ipotesi, si configura anche il reato penale che si estende anche al debitore accollato laddove venisse dimostrato che questi, in fronte all’erario, era consapevole della circostanza che il credito utilizzato dall’accollante era inesistente.

Peraltro, va sottolineato che dal punto di vista della reprimenda, la nuova norma, in deroga alla disciplina generale, ha innovativamente previsto il lungo termine di 8 anni per poter effettuare il recupero: in particolare le sanzioni a fronte della violazione della disciplina sulla compensazione possono essere irrogate con atti di recupero da notificare entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la delega di pagamento.

Ce n’è a sufficienza per suggerire con fermezza di scansare improbabili “proposte” pervenute da terzi in ordine al pagamento delle vostre imposte mediante accollo del debito. Piace concludere sul punto facendo notare la funzione educatrice della innovativa disposizione che se non altro ha reso evidente a coloro i quale in buona fede avrebbero aderito a tali artifizi che l’ora del fesso sarebbe potuta capitare a chiunque.

 

 

P. IVA cessate – inibite le compensazioni

Altra limitazione alla compensazione è disposta nel caso di notifica di un provvedimento di cessazione della partita Iva o di esclusione dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie.  Trattasi di fattispecie oggettivamente “rara”, soprattutto nel mondo professionale, riguardando le ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria:

  • effettua una verifica in ordine alla esattezza e completezza dei dati indicati in occasione della attribuzione della partita Iva (controlli ordinariamente eseguiti entro sei mesi successivi)
  • provvede a cancellare il soggetto dalla banca dati VIES vale a dire la banca dati che consente agli iscritti di effettuare operazioni intracomunitarie (cancellazione che avviene a fonte di gravi inadempimenti o acclarati comportamenti evasivi)

In questi casi, se viene contestato che il soggetto:

  • non possiede i requisiti soggettivi e/o oggettivi previsti dal decreto Iva, l’Ufficio notifica un provvedimento di cessazione della partita Iva;
  • possiede i requisiti previsti dal decreto Iva, ma ha effettuato operazioni intracomunitarie in un contesto di frode Iva, l’Ufficio notifica un provvedimento di esclusione dell’operatore dal Vies.

Ordunque, in questi casi, coloro che hanno ricevuto il provvedimento di cessazione della P. IVA non possono utilizzare, crediti, ancorchè esistenti e legittimi, in compensazione in F24, e ciò a prescindere dalla loro origine e dall’importo, si intende dire che è inibita la compensazione anche se non maturati con riferimento all’attività esercitata con la partita Iva cessata d’ufficio. Coloro i quali sono stati cancellati dal Vies non possono utilizzare in compensazione crediti Iva.

Sul punto in occasione della recente manifestazione organizzata da Italia Oggi, l’agenzia delle entrate ha chiarito l’impossibilità di compensazione orizzontale dei crediti Iva per i soggetti passivi estromessi dalla banca dati Vies permane fino a quando non siano rimosse le irregolarità che hanno generato l’emissione del provvedimento di esclusione. In particolare, in base alle indicazioni del Provvedimento n. 110418 del 12/6/2017 del direttore dell’Agenzia delle entrate la «riabilitazione» ad opera dell’Ufficio il quale valutate le motivazioni addotte dal contribuente, può procedere alla nuova inclusione nella banca dati, dopo aver verificato che siano state rimosse le irregolarità che avevano generato l’emissione del provvedimento di esclusione». In conclusione, la «riabilitazione» all’effettuazione delle compensazioni orizzontali di crediti Iva è direttamente connessa alla rimozione delle irregolarità che hanno generato l’emissione del provvedimento di esclusione con le modalità descritte nel Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 12 giugno 2017 – Prot. 110418/2017.

 

 

 

Compensazione dei crediti – nuove regole per tutti

Ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’Irap, fino a tutto il 2019, come noto, la compensazione degli eventuali crediti poteva avvenire sin dal primo giorno successivo alla chiusura dell’esercizio (quindi, per i contribuenti con esercizio coincidente con anno solare, dal 1° gennaio), senza dover sottostare alle limitazioni esistenti in materia IVA, laddove nel caso di crediti superiori a 5 mila euro, la compensazione è ammessa solo a decorrere dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

Oggi, il legislatore cambia visione ed estende il meccanismo IVA anche agli altri comparti impositivi, con applicazione a decorrere dai crediti maturati nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019. Di fatto, i crediti 2018 saranno ancora liberamente utilizzabili fino a che non confluiranno nella dichiarazione riferita al 2019, per poi scattare le nuove limitazioni (si usa dire che poi il credito deve essere “rigenerato”). La sola precisazione da rammentare è che la disposizione non trova applicazione con riferimento ai crediti maturati in qualità di sostituti di imposta, vale a dire quelli scaturenti dal Mod. 770.

Di fatto, nel 2020 i crediti del 2019 saranno liberamente utilizzabili fino all’importo di 5 mila euro. Importi superiori dovranno attendere prima la presentazione della dichiarazione, l’apposizione del visto e il decorso di 10 giorni dalla dichiarazione medesima, altrimenti avendosi F24 indebiti che saranno scartati, con la conseguenza di veder considerati omessi i relativi versamenti (oltre alle sanzioni che scatteranno in riferimento ai modelli F24 prodotti).

 

 

Obbligo a pioggia del canale telematico

In ultimo, la stretta sulle compensazioni in ordine all’utilizzo delle deleghe di pagamento: tutte i modelli F24 che contengono anche solo parzialmente una compensazione (e dunque non più solo quelli c.d. a saldo zero), devono essere obbligatoriamente presentati mediante i canali entratel/fisconline, a prescindere dall’esistenza della Partita IVA. Pertanto, anche i non titolari di partita IVA non avranno più la possibilità di usare il modello cartaceo o l’home banking (che restano utilizzabili solo nel caso di pagamento effettivo). Il canale entratel/fisconline deve essere usato anche per i crediti maturati in qualità di sostituto d’imposta per il recupero delle eccedenze di versamento delle ritenute e dei rimborsi/bonus erogati ai dipendenti.

 

 

Le conseguenze in termini sanzionatori

A corollario del complessivo sistema descritto vi è anche la previsione di specifiche sanzioni riferite alle deleghe prodotte in violazione alle disposizioni (che vengono peraltro scartate, ritenendosi omesso il versamento, da dover poi ravvedere). Per ciascuna delega non eseguita, è prevista una sanzione pari al 5% dell’importo contenuto nella medesima delega (se comunque tale importo non supera 5.000 euro), passandosi ad una sanzione fissa di 250 euro per importi superiori a 5.000 per ciascuna delega.

L’aspetto preoccupante è che tale sanzione non è definibile con relativa riduzione ad un terzo (come invece accade nelle altre ipotesi accertative) e soprattutto, per espressa previsione normativa, è esposta al solo cumulo materiale, essendo vietato il cumulo giuridico in caso di più violazioni (ovvero l’applicazione della sanzione più grave, aumentata da un quarto al doppio). Di fatto saranno applicate tante sanzioni quanti sono i modelli F24 non eseguiti, con mera sommatoria degli importi irrogati. Sarà onere dell’amministrazione finanziaria comunicare sia la sospensione del modello di pagamento che la sanzione emergente, a fronte del quale il contribuente può eccepire proprie valutazioni nei 30 giorni successivi (ovvero accettare e pagare). Nel caso di non condivisione delle valutazioni del contribuente, le somme saranno affidate all’agente della riscossione, che dovrà emettere la relativa cartella di pagamento entro il 31 dicembre del terzo anno successivo.

Autore/i:
Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi